Riceviamo e pubblichiamo con grande piacere questo diario dai nostri lettori Giuliano e Anna (che ringraziamo anche per le bellissime fotografie). Buona lettura!
Dopo un assedio durato quanto quello di Candia, anch’io, come il Generale da Mar Francesco Morosini, ho capitolato con l’onore delle armi. Le incessanti bordate di mia moglie hanno finito per fiaccare la mia resistenza e mi sono deciso a visitare Napoli e la costiera Amalfitana. Per oltre vent’anni ero riuscito a evitare questa meta con le scuse più fantasiose sia quando eravamo andati a Caserta o a Pompei piuttosto che di passaggio verso la Calabria. Perché non prima? Supponenza, pregiudizio, sazietà delle tante (forse troppe) cose già viste erano state un artificioso ostacolo che finalmente, devo riconoscere, è stato superato.
Viaggio quanto mai tranquillo e scorrevole fino a Napoli e, anche lì, poco traffico fino al Parcheggio/Campeggio sulla collina dei Camaldoli (40.868056//14.205278). Essenziale, non grandissimo ma tranquillo e fresco di sera.
Dal campeggio non è molto agevole raggiungere la Reggia e il Parco di Capodimonte. Di buon mattino, seguendo le indicazioni del gestore della struttura, bisogna seguire il caratteristico arredo urbano composto di coloratissimi sacchetti della spazzatura e, dopo un km abbondante, si arriva alla fermata del bus 204 che dovrebbe portarci a destinazione. In realtà a scodellarci davanti al cancello della Reggia è stato il C63 gentilmente indicatoci, con una moltitudine di altre informazioni, da una signora che ha confermato la risaputa disponibilità dei napoletani, quando non sono alla guida. Capodimonte è proverbialmente, e giustamente, nota per le stupende ceramiche che le hanno dato fama internazionale, ma la raccolta di sculture e di quadri dei più grandi Maestri del Rinascimento e non solo, toglie letteralmente il fiato. Grazie a Carlo Borbone gran parte delle opere appartenenti alla famiglia Farnese furono raccolte e sistemate in questo grandioso Palazzo fatto costruire in modo da esporle in maniera più razionale e organica. Impressionante la raccolta d’armi dei Farnese e dei Borbone che è tra le più importanti d’Europa. Le splendide armi da fuoco che vanno dal XV al XVII secolo, le preziose armature finemente lavorate e una quantità di armi bianche di ogni genere e provenienza. La sterminata collezione De Ciccio con i suoi 1300 selezionatissimi pezzi tra ceramiche, smalti, bronzetti, argenti e maioliche di ogni Paese lascia stupefatti. In questa reggia si sono avvicendati ben cinque sovrani, prima che diventasse proprietà dello Stato. Anche il parco è molto ben curato e il risultato complessivo è ammirevole. Penso che la visita di Napoli non potesse iniziare sotto migliori auspici.
Siccome l’appetito vien durante i pasti, davanti a una squisita pizza nella zona del Museo Archeologico, abbiamo deciso di approfittarne e visitare anche quello. Costituito dalle raccolte dei Farnese, Borgia e altri importanti collezionisti, si suddivide in tre principali sezioni: Farnese, Pompeiana ed Egizia. Moltissime delle sculture sono copie di opere dei più grandi artisti greci, un Paese che i romani conquistarono, ma un popolo da cui furono conquistati. I greci hanno sempre avuto il rispetto e l’ammirazione da parte dei romani, che ne riconoscevano la superiore erudizione. Un grande museo non solo per dimensioni, ma per la qualità e l’originalità della disposizione delle opere, anche se la parte del leone tocca naturalmente ai reperti raccolti durante gli scavi di Ercolano e Pompei. Ricordo che a Pompei i custodi, con comprensibile campanilismo, avevano rimarcato il fastidio di questo “scippo” perpetrato da Napoli nei loro confronti.

Comunque sia ho avuto il piacere di vedere e di ammirare i capolavori di quegli artisti che la spaventosa tragedia dell’eruzione del 79 d.C. ha permesso arrivassero quasi intatti fino a noi. Imperdibile per chi vuole visitare questa bella città.
Oggi abbiamo deciso di scoprire la Napoli quotidiana e, partendo da Piazza Dante, fulcro delle nostre visitazioni, ci siamo portati verso la celeberrima Spaccanapoli, una serie di vie che hanno un fascino che aumenta percorrendole. La vivacità e l’intraprendenza napoletana si rivelano in questa lunga strada e nei vicoli che la intersecano, tra la miriade di negozietti di ogni sorta e pizzerie e bar che si susseguono. La via dei libri, quella degli antiquari e l’indescrivibile via dei presepi, dove la fantasia dei napoletani raggiunge il vertice.
Cammin facendo abbiamo visitato il grande Monastero di Santa Chiara, un capolavoro in stile gotico che in parte è stato distrutto dai bombardamenti del ’43. Le foto di com’era e i pochi resti sbrecciati che sono rimasti, danno l’idea del tesoro incalcolabile che è andato perso. Purtroppo irrimediabilmente perduti anche gli affreschi di Giotto e quelli del XVIII secolo. Per fortuna il chiostro e i dipinti che lo circondano, oltre che le splendide e originalissime colonne rivestite di maioliche, sono giunti fino a noi. Notevole l’interno della chiesa e il grande presepe in una sala dedicata.

Abbiamo proseguito fino al Duomo e naturalmente non abbiamo mancato la visita. La facciata è meno elaborata di quanto ci si potrebbe aspettare, ma ha una semplicità fascinosa e sembra incastonata tra i due palazzi che la affiancano. L’interno è splendido e non sorprende che S. Gennaro lo abbia scelto per compiere i suoi miracoli: difficile trovare una cornice più degna. Abbiamo oziato ancora un po’ per il centro e, con la metro, siamo poi andati a goderci quel complesso spettacolare che è la Piazza del Plebiscito, il Maschio Angioino, la celebre Galleria Umberto I, il Teatro S. Carlo e la chiesa di S. Ferdinando, un barocco grandioso ma non sfarzoso come ne avevamo visti in altri viaggi, specialmente in Germania. Dopo avere ficcanasato nelle pasticcerie nei dintorni, ci siamo arresi davanti al fuoco di sbarramento di babà, cannoli e sfogliatelle in voluttuosa esposizione nel celebre GAMBRINUS …”e naufragar c’è stato dolce in questo mare”. Abbiamo passato un po’ di tempo in zona Toledo e tra i Quartieri Spagnoli e infine abbiamo atteso pazientemente che qualche bus si degnasse di passare per riportarci in campeggio. Aspettare il bus, a Napoli, è da prendere alla lettera. Può passare dopo trenta o anche sessanta minuti oppure mai, a “seconda del traffico” che è una battuta che ci fa sbellicare ogni volta. A parte la Metro, il cavallo di S. Francesco è l’unico mezzo su cui contare in questa caotica e straordinaria città. In ogni caso, una giornata magnifica e davvero appagante.

Altra giornata memorabile: Cappella Sansevero, Chiesa di S. Gregorio Armeno. Ho avuto la curiosità e la fortuna di vedere, nei miei trentennali vagabondaggi, le migliori opere dei maggiori artisti italiani e stranieri, avendo visitato i più importanti musei, le ville, i castelli e le più belle chiese che ci sono in Europa. Napoli era rimasta in coda, ma non certo per sua colpa. Di sculture di marmo con un velo che le ricopre ne avevo visto altre, ma niente di così spettacolare, incredibile e coinvolgente come il Cristo Velato. Le congetture fiorite intorno ad simile capolavoro sono molte e strampalate e includono l’esoterismo e il soprannaturale. Certo è che davanti a tanta perfezione verrebbe da credere che Cristo stesso abbia voluto “farsi Fattor di sua fattura”. Ad aumentare la leggenda hanno certo contribuito i due scheletri con l’intero sistema circolatorio e alcuni organi interni ancora perfettamente conservati in una stanzetta adiacente. In realtà la perfetta riproduzione dell’intero apparato circolatorio è il frutto di un eccellente lavoro compiuto con cera colorata e filo metallico da un certo dottor Salerno, un medico al servizio dell’eclettico Principe Raimondo di Sangro, un personaggio figlio dell’illuminismo nel senso più ampio del termine. Anche il soffitto della Cappella, mai restaurato, ha i colori incredibilmente vividi di un’opera appena conclusa. Molte statue di eccellente fattura e significato la circondano e, tra queste, spicca quella del Disinganno, di Francesco Queirolo. Una statua che raffigura un uomo che cerca di liberarsi dalle maglie di una rete che rappresenta la schiavitù del vizio. Usciti dalla Cappella con ancora negli occhi e nella mente le meraviglie cui ho accennato, abbiamo percorso i vicoli e le vie di quello straordinario mondo partenopeo che si sviluppa tra il decumano maggiore e inferiore e comprendono il cuore della città e il suo groviglio di vicoli e stradine. Abbiamo percorso via dei Presepi, via dei Tribunali, via Duomo per poi andare nella Chiesa di S. Gregorio degli Armeni. Non molto grande ma di una bellezza straordinaria. Il soffitto dipinto e intarsiato a cassettoni, le varie cappelle e l’abside sono di eccellente fattura e così le colonne e le balaustre in marmi policromi. Un tipo se l’è fatte tutte inginocchiandosi a pregare e sbracciandosi per toccare le statue che raffiguravano i vari Santi o le reliquie. Un fervente devoto oppure uno con una coscienza gravata da chissà quali peccati. Mah. Non tocca a me esprimere giudizi, sono abbastanza indaffarato a occuparmi dei miei.

Oggi, sazi di capolavori creati dall’uomo, siamo andati a controllare quello che sa combinare Madre Natura quando ha voglia di stupirci. Sorrento e la vista del Golfo di Napoli. Un’ora di viaggio con la Circumvesuviana presa alla stazione Garibaldi attraversando zone molto degradate e di miseria umiliante. È inconcepibile una situazione del genere in un posto tanto affascinante, ma lo è in ogni caso vedere un simile abbandono.
Sorrento attenua tanto squallore e si presenta accogliente con la bellezza e il fascino che l’ha resa famosa. Pulita, ben curata e con un gran numero di turisti, inglesi in particolare, che sciamavano tra i vicoli e la via principale per poi convergere sulle terrazze a strapiombo sul mare. Molti giardini di limoni e cedri e naturalmente le golosità di cui sono gli ingredienti principali: su tutti il pregiato e squisito Limoncino. Una leggera foschia non ci ha permesso di cogliere appieno il superbo panorama che avevamo davanti e che un gentilissimo signore ci ha illustrato con pittoreschi commenti. La disponibilità dei napoletani è davvero unica: sono tutti dei Ciceroni. Se qualcosa non sanno, coinvolgono altri per chiarimenti creando a volte situazioni paradossali quando le spiegazioni non convincono l’interpellante e a quel punto la discussione si anima e coinvolge tutti i presenti, lasciando da parte il povero turista, che però alla fine beneficerà di dettagliate e precise spiegazioni. Sembra sempre di essere al centro di qualche commedia e di vedere sbucare all’improvviso la maschera scarna del grande Eduardo. Anche questo fa parte del folklore partenopeo.
Oggi ultimo giorno a Napoli. Ci siamo tenuti in serbo due pezzi da novanta: il Palazzo Reale, in Piazza del Plebiscito e la Certosa di S. Martino, con puntatina a Castel S.Elmo, entrambi nel borghese quartiere del Vomero. I palazzi reali si assomigliano un po’ tutti: sono fantastici ma, alla lunga… non ti stancano mai. Quello di Napoli, non fa eccezione se non per l’esiguità del giardino che, per essere quello di una dimora reale, non ha l’estensione che ci si aspetterebbe. Un ingresso imponente, una scalinata trionfale, che doveva colpire l’ospite e magnificare il padrone di casa. Capita spesso nelle dimore importanti: si riteneva che l’entrata fosse come l’attacco in una poesia e non di rado il meglio era tutto lì. Un trionfo del barocco che si esprime tra il Teatro di Corte, la Sala del Trono, la Cappella Reale, l’appartamento della Regina, la vasta biblioteca e il Giardino Romantico. C’erano una mostra di opere riguardanti Don Chisciotte con numerosi quadri e splendidi arazzi che riproducevano gli episodi salienti nel libro. Molto bella e interessante.
Dalla fermata Centrale con la funicolare e una sfiatante scarpinata, abbiamo raggiunto la Certosa di S.Martino e il vicino Castel Sant’Elmo. Altro giro, altro capolavoro. Dalla terrazza, un gran colpo d’occhio al panorama sul golfo e sullo sfondo il cammellato profilo del Vesuvio. E poi, sale, chiese fantastiche, cori di legno e sacrestie con intarsi incredibili, pavimenti e colonne di marmi policromi. L’androne delle carrozze, il Chiostro e il grandioso Presepio. Molte le opere di pittori della scuola napoletana apprezzabili per il crudo realismo dei loro dipinti, che si ritrova anche in letteratura. Per alcuni aspetti e temi ricordano i Macchiaioli toscani per l’oggettivismo delle scene di vita quotidiane. La miseria che non è mai disperazione e la vita, anche se grama, è sempre vita. Naturalmente Napoli non è solo palazzi e musei, ma anche la gente che abita in questa vivace città. Percorrerne le piazze e le belle vie osservando e schivando auto, moto e bus che si intrecciano come voli di rondini sfiorandosi senza toccarsi, ti da una scarica di adrenalina che, ai deboli di cuore, potrebbe essere fatale. Qualsiasi cosa si voglia vedere è in salita o in cima a una scalinata, non ci sono santi. Imperdibile l’affollatissima via Toledo, che collega Piazza Plebiscito a Piazza Dante ed è striata da fantastici vicoli che esprimono la Napoli verace, come dicono loro. Forse non tutto è autentico, ma la sceneggiata fa parte della quotidianità ed esserci dentro è essere a Napoli.
Non abbiamo visitato la parte sotterranea e certo qualcuno potrebbe trovarla una mancanza, ma infilarmi sottoterra non rientra tra i miei interessi primari, se non devo prendere la metro. E a proposito di metro, consiglio di vedere la stazione Toledo: una bellezza, come altre del resto.
Ho colpevolmente trascurato questa città per molti anni, ma lei non me l’ha fatto pesare e mi ha fatto vivere cinque giorni da sogno. Che cosa ho apprezzato di più? Tutto, a cominciare dai napoletani.
Quando le pietre raccontano: Ercolano, (Agriturismo Stone 40.805850//14.362960. Abbastanza scomodo, squallido e lontano dalla zona archeologica, offre il minimo sindacale). Giornata afosa e con una temperatura sopra i 30°: ideale per visitare degli scavi. L’impatto non è stato dei più esaltanti. I resti di Ercolano sono in una voragine circondata da case che, come condizione, potrebbero esserle coeve. A prima vista non sembra molto estesa, in particolare per chi ha visitato Pompei, ma poi si rivela più impegnativa e ampia di quanto si creda. Moltissime le scolaresche presenti e abbiamo beneficiato, in alcune occasioni, delle informazioni delle maestre, ben documentate e appassionate e disponibili ad accoglierci tra gli allievi. Il poco che non è finito al Museo Archeologico di Napoli, ed è davvero poco, è esposto in un piccolo museo ben curato. Non sono molte le case che hanno al loro interno dipinti in buone condizioni. Ercolano dopo l’acconto incassato con la scossa di terremoto del 62 d.C. ha ricevuto il saldo dal Vesuvio dopo diciassette anni e ha chiuso i battenti. Ancora visibile la Casa dell’Albergo, una struttura di oltre 2000 metri con annesse le terme. Oggi sarebbe una Spa e forse lo era anche allora. Notevoli la Casa di Aristide e quella di Argo con il suo bel porticato. La Casa dei Cervi, così detta per le statue ritrovate, aveva la vista sul mare. Tra le più belle quella di Telefo, addirittura su tre livelli. Notevoli anche le terme, rigorosamente separate per sessi. Qualcuna ha conservato dei bei dipinti e notevoli mosaici, che avevano una modernità e un realismo incredibili. Gli artisti in quel tempo godevano di ampie libertà e le sfruttavano senza imbarazzo. In una mezza giornata si può visitarla bene, ma se si ha in programma Pompei forse potrebbe non valere la sosta, ma io non consiglio mai di rinunciare alla visita di un sito archeologico o di un museo.
Partenza per Salerno e sosta nel comodo, pratico e ventilato parcheggio in riva al mare (40.665670//14.789350). Un bus che si prende non molto distante, porta alla stazione e da lì si arriva al porto da cui partono le motonavi per Amalfi e la Costiera in generale. La mezz’ora per arrivare ad Amalfi consente di ammirare il profilo della costa con i paesini e le case abbarbicati sui declivi in precario equilibrio. Rammentano il Manzoni con il suo “addio monti” in cui descrive le “ville sparse e biancheggianti sul pendio come branchi di pecore pascenti”. Forse un po’ troppi alberghi, ma il turismo è un’importante risorsa ed è fatale che sia sfruttato. La folla di gitanti era notevole e a farla da padroni anche qui sono gli inglesi, che credevo più appassionati della Toscana, dove certo non mancano. Perdersi nei vicoli tra la miriade di negozietti e bar, tutti rigorosamente in salita, è stata una simpatica esperienza, e la lunga scalinata per arrivare al duomo trova compenso nella sua fattura. È tutt’altro che raro che le chiese, in particolare, non siano state rimaneggiate nel corso dei secoli e la Cattedrale di Sant’Andrea non fa eccezioni. Ampliata, ridotta, ricostruita per veri o presunti crolli nel corso della sua più che millenaria storia, ha comunque nella mescolanza dei suoi stili che vanno dal barocco al moresco, un fascino particolare. Bella la cripta e le volte a botte affrescate. Importante Repubblica marinara per un paio di secoli, conserva le copie delle famose Tavole Amalfitane, una sorta di legislazione marinara curata nei minimi dettagli. Il suo stemma è ancora orgogliosamente presente nella bandiera della Marina Militare. Tappa obbligatoria per chi vuole visitare la Costiera Amalfitana.

Si può fare torto a Positano? Infatti, non ci è passato per la testa e risaliti sul puntuale e gremito traghetto in mezz’ora eccoci al cospetto di quest’altra perla. Apprezzata già in epoca imperiale dai romani, fu oggetto di edilizia selvaggia sin da allora e dai reperti finora riemersi si può affermare che l’arte di costruire ha sempre conteso alla natura l’arte di creare mancandole spesso di rispetto. La Chiesa di Santa Maria Assunta era addobbata per un matrimonio inglese. In attesa della sposa, la chiesa era occupata da una moltitudine di chiassosi invitati in evidente stato di… gaudio. Sembrava il set di “Tre uomini e una pecora: un matrimonio da incubo”. Mi sarei voluto imbucare per vedere come andava a finire. La sposa era molto bella e le quattro “damigianelle”, anche loro su di giri, certo non le avrebbero rubato la scena. Ho l’impressione che sia stata una gran bella baraccata. Auguri agli sposi.
La chiesa conserva una reliquia di una Madonna Nera bizantina intorno alla quale sono fiorite immancabili leggende, tanto noiose quanto improbabili. Giornata dedicata all’approfondimento e alla ricerca. Seguendo le dettagliate indicazioni di un esperto e disponibile vigile urbano, abbiamo scovato la Pasticceria Svizzera, tra le più rinomate di Salerno. Maritozzi, babà e sfogliatelle ripieni hanno rallegrato il palato almeno quanto le bellezze naturali hanno deliziato lo spirito. Non ci saremmo potuti separare dalla Costiera Amalfitana più dolcemente. Rilassante passeggiata sulla spiaggia antistante al parcheggio e quindi ozio totale.
Arrivo veloce a Paestum, (a.s. 40.424670//15.006770), un parcheggio all’ombra, tra una nevicata di piumini dei pioppi, a pochi passi dal sito archeologico.

Paestum: i Templi di notte
Fondata dai greci in onore di Poseidone, ha degli splendidi templi dedicati a Era e Atena. Gli studiosi ancora litigano per decidere a chi dedicare quello più grande e in attesa che la dotta tenzone si risolva e gli illustri accademici sbroglino la matassa noi, beati ignoranti, ce lo siamo goduto nel suo imponente splendore. Perché, come diceva Shakespeare: la rosa, anche con un altro nome, avrebbe sempre lo stesso profumo. Visitando l’ampio sito abbiamo visto i resti di grandiose dimore patrizie di epoca imperiale, talune con la piscina privata. Non mancano l’arena e l’agorà, luoghi in cui i cittadini potevano offrire il meglio e il peggio di se: la più conservata è l’arena, e forse è amaramente indicativo. Passata di mano dai Greci ai Lucani e quindi ai Romani, conserva tracce più evidenti di questi ultimi e, infatti, il suo impianto urbanistico ricalca quello di altre città similari. Il piccolo museo conserva reperti molto interessanti tra cui Il Tuffatore, ma da non trascurare quelli con scene di lotta, di gare e di convivio. Anche se la ceramica non sempre ha un ruolo dominante essendo spesso attribuita più ad artigiani che ad artisti, il vasellame esposto mi sembra di ottima fattura. Essendo il sito lungo la strada e quindi ben visibile, è quasi d’obbligo la sera, col buio, fotografare i templi illuminati. Una bella emozione e delle belle foto. Se il giorno ne esalta la maestosità, il buio ne celebra la solennità.
In una mezz’ora si arriva all’autostrada Salerno Reggio C. e poi la superstrada che porta a Matera (40.666803//16.596878 comodo parcheggio con bus che ogni mezz’ora porta ai Sassi). La lunga superstrada in perenne manutenzione, supera aspre e brulle montagne collegate da un rosario di viadotti che si alternano a una litania di gallerie. A parte all’inizio dove sono presenti coltivazioni di ulivi, il resto è solo arbusti riarso dal sole e grandi macchie di tenaci ginestre che ravvivano il panorama con i loro bei fiori gialli. Sul fianco di una gravina selvaggia e suggestiva in fondo alla quale scorre un esiguo fiumiciattolo, la zona dei Sassi, rigorosamente in maiuscolo come usano i Materani. Un tempo degradata, era abitata dalle persone meno abbienti della città che addirittura vivevano nelle grotte. Oggi è stata in buona parte recuperata e possedere una casa ai Sassi, è uno snobistico segno di distinzione e prestigio. Assolata ma ventilata, richiede un certo impegno per visitarla ma non ci si pente, i molti bar offrono ristoro e refrigerio. Le belle chiese sono interessanti e il loro interno è più sorprendente di quanto si possa immaginare. L’essere stata il set di un (brutto) film famoso ha contribuito ad aumentarne la notorietà e, infatti, sono molti i turisti che cercano misticismo e storia tra questi muri, anche se non so quanti lo trovano. Una signora tappa che avrebbe dovuto esserlo in occasione di un altro viaggio e che era saltata, ma che avevamo tra i nostri obiettivi. Oggi lo abbiamo realizzato.
Giuliano e Anna