I nostri amici Maurizio e Stefania ci accompagnano negli stati uniti alla scoperta dei grandi Parchi dell’ovest (da Yellowstone al Grand Canyon), ma anche New York, San Francisco, Los Angeles, San Diego e la mitica Route 66: 42 indimenticabili giorni negli States.
PREMESSA
Era una vita che sognavamo di visitare i grandi parchi dell’ovest degli USA e finalmente ci riusciamo, coinvolgendo anche i figli e aggiungendoci una settimana a New York. Compiremo la prima parte del viaggio (New York e i parchi del nord-ovest) in due; i figli ci raggiungeranno a Los Angeles per la seconda parte (i parchi del sud-ovest). Decidiamo di compiere il viaggio con la formula macchina + albergo (più spesso motel) scartando l’ipotesi camper + campeggio (che a noi, vecchi camperisti, sarebbe stata la più congeniale).
Infatti dopo aver fatto una simulazione dei costi la prima formula è risultata molto più conveniente a causa dell’alto costo dell’affitto di un camper e del fatto che mentre gli alberghi potevano essere prenotati con largo anticipo (e così abbiamo fatto cominciando sin da gennaio) non sempre era possibile per i campeggi e, pertanto, ogni giorno si sarebbe dovuto andare alla caccia di un campeggio fin dalla mattina mentre noi arrivavamo, ovviamente, nel posto in cui pernottare, il pomeriggio/sera, con il rischio (quasi certo) di non trovarlo (a Yellowstone, ad esempio, erano tutti completi).
I tragitti da New York a Denver e da Salt Lake City a San Francisco (enormemente lunghi) sono stati fatti in aereo. Utilissime le Lonely Planet “New York City” e “Stati Uniti – I grandi Parchi”, indispensabili le cartoville di Ne
w York e San Francisco del Touring Club Italiano (per Los Angeles ci faceva da guida nostro figlio). Altrettanto indispensabili sono le mappe, contenenti sia la pianta del parco con tutti i percorsi e punti di interesse ma, anche, cenni storici e foto che vengono fornite gratuitamente nei Visitor Center e all’ingresso dei parchi nazionali. Da tener presente anche il servizio sulla Route 66 contenuto nel n°430 di PleinAir.
Come in nostri precedenti appunti di viaggio (pubblicati su vari siti, in particolare su quelli per camperisti) ci siamo proposti il fine di fornire quelle informazioni che riteniamo utili (percorsi, situazione delle strade, trasporti delle città, info sui motel e ristoranti, …), spesso non reperibili sulle guide ma, a nostro parere, importanti, nonché giudizi (ovviamente sempre soggettivi) su città, parchi e quant’altro. Per info storiche e descrizione approfondita di luoghi e monumenti fanno più testo le guide turistiche sopra menzionate.
DIARIO
21 luglio New York
Partenza da Fiumicino alle 10.40, arrivo alle 13.50 locali; fila di 90′ al controllo passaporti e traffico, tanto traffico (70′) per arrivare in albergo, dopodiché cominciamo ad “assaggiare” la Grande Mela: capatina al Rockfeller Center e salita al Top of the Rock, dove ritiriamo il New York City Pass (vedi NOTE – Costi). Dalla terrazza lo sguardo spazia su Central Park e sulla città. Il tempo è coperto e l’afa si fa sentire.
Nota1: avevamo scelto un albergo (Hotel Five44) che avesse, nella stanza, un angolo cottura così da potersi preparare la cena in camera.
Nota2: Per facilitare la visita e gli spostamenti a New York sono molto utili queste applicazioni:
“Top of the rock”: è una visita virtuale sullo skyline di New York che si vede dal grattacielo, ci sono i nomi di edifici e strade;
“Subway Map: NYC” è la mappa della metro di New York consultabile anche senza rete;
“Bus Checker” un trova linea per gli autobus: può essere utile per vedere dei luoghi andando da un posto ad un altro (noi ci abbiamo fatto tutta la 5th, quando siamo andati dal MET al Flatiron);
“MTA Weekender”: è la mappa dinamica della metro, come “Maps” individua dove sei, le stazioni metro chiuse per lavori e le linee utilizzabili nel weekend, che sono spesso molto diverse da quelle feriali (come fermate e stazioni aperte). Noi l’abbiamo utilizzata tantissimo anche perché in metro c’è wi-fi quasi dovunque. È importante consultarla perché molte linee di metro a New York sono express e saltano molte fermate per essere più veloci a raggiungere, ad esempio, Brooklyn e Bronx, ma allo stesso tempo è facile capire la direzione perché l’indicazione generalmente è “Downtown” e “Uptown” rispetto alla conformazione di Manhattan;
“Explorer” è l’app del Museo di Storia Naturale dove vedere le varie esposizioni presenti e scegliere quale visitare;
“9/11” è l’app del museo dell’11 settembre.
22 luglio New York (Upper West Side)
Vediamo (solo dall’esterno) gli edifici del Lincon Center poi un salto al supermercato ebraico Zabar’s dove facciamo una seconda colazione; buono l’espresso, anche se era un bicchierino colmo (ma avevamo voglia di caffè).
Il supermercato adiacente ha una gran varietà di prodotti di qualità (stile Eataly) anche italiani. Ritorneremo alla fine della giornata per fare la prima spesa “americana” (di prodotti italiani). Per vedere tutto il Museo di Storia Naturale (compreso nel New York City Pass) ci vorrebbero almeno un paio di giorni pieni (vista anche l’offerta di filmati in 3D e planetario), per cui ci limitiamo ad alcune sale.
Prima i mammiferi del nord-America (diorami), poi la fantastica sala degli scheletri dei dinosauri, quella della vita marina (con la riproduzione della gigantesca balenottera) e quella della biodiversità. Ampio self-service nel seminterrato. In moltissime sale erano presenti banchetti con due addetti che rispondevano alle domande dei ragazzi delle numerose “scolaresche” che affollavano il museo (erano già iniziate le scuole o erano istituzioni tipo centri estivi?). Anche per il Central Park limitiamo la visita alla parte sud.
Dall’ingresso situato davanti al Museo passiamo per Belvedere Castle, poi in direzione est verso il laghetto dei modellini (The Lake) con la statua di Alice in Wonderland, per proseguire, verso sud, in direzione di Bethesda Fountain, incontrando la zona dei tavolini da scacchi. Cominciamo ad accusare la stanchezza e, per andare a Strawberry Fields, usciamo a Columbus Circle e facciamo una fermata di metro.
Il mosaico “Imagine”, nell’angolo del Central Park denominato Strawberry Fields, è proprio di fronte al Dakota Building, il palazzo dove abitava (e davanti al quale fu ucciso) John Lennon. Il caldo non è opprimente (sparite le nuvole è sparita anche l’afa) e c’è sempre una piacevole brezza; tale clima ci accompagnerà per tutta la settimana di permanenza. Spesa da Zabar’s e cena fredda in albergo (ma da domani si comincia a cucinare).
Nota1: per i mezzi pubblici di trasporto di New York comoda la Card valida 7 gg (32$)
Nota2: per i musei e attrazioni varie altrettanto comoda è la New York City Pass (114$, comperato on-line dall’Italia), non solo per il risparmio, ma anche perché si salta la fila per l’acquisto dei biglietti. Esistono anche altre card per un numero superiore di “attrazioni”; per noi era perfetta questa (conteneva, tranne il MOMA, tutte le cose che volevamo vedere).
23 luglio New York (Theater District – Midtown East)
Times Square, a piedi dall’albergo, poi Macy’s, uno dei più grandi magazzini del mondo (mi ricorda Harrods, a Londra). La vista di New York dall’Empire State Building è da capogiro; con la New York City Pass si ha anche l’audioguida in italiano e si salta la fila per l’acquisto biglietti (alle 10,30, in verità non era eccessiva, all’uscita, alle 12,30, molto di più). Pranzo al Subway nella metro che ci porta al MOMA.
Al museo non possiamo prendere l’audioguida, compresa nel biglietto, perché non accettano, come documento, il passaporto, ma solo carta di identità o patente, come è scritto chiaramente nel cartello (ma non menzionato su nessuna guida e nemmeno sul loro sito e noi avevamo lasciato le patenti in albergo). Ci arrangiamo con la guida online ed il wi-fi messo a disposizione (per l’Ipad c’è la app).
Procediamo dall’alto (5° piano) perché lì ci sono Van Gogh, Picasso, Braque, ecc, Wharol era al 2° in una mostra temporanea. Riprendiamo la metro (benedetta card illimitata!) e andiamo a vedere, dall’esterno, le fattezze decò del Chrysler Building (dell’interno è visitabile solo l’atrio) e quelle Art Nouveau della Grand Central dove visitiamo anche il market con prodotti di ogni origine (tipo Zabar’s).
La New York City Pass comprende, per l’Empire State Building, oltre alla visita diurna, anche una visita notturna (nella stessa giornata), pertanto, dopo una cena consumata in albergo (finalmente spaghetti, visto che la camera aveva anche la cucina) ritorno all’Empire per ammirare (e fotografare) le mille luci di New York.
24 luglio New York (Financial District – Ellis Island – Brooklyn)
Quando la crisi da astinenza da espresso aveva raggiunto l’apice, siamo salvati da una casuale scoperta: in una caffetteria/supermercato vicina al nostro albergo, all’angolo tra la 49th e la 8th, di fronte al World Wide Plaza, troviamo un espresso Illy (quello vero!). Nei restanti giorni newyorkesi questa sarà la prima tappa, appena usciti dall’albergo.
Nel seminterrato della caffetteria grande e ben fornito supermercato. L’imbarcadero della linea 1 per Ellis Island (tappa intermedia: la Statua della Libertà) è a Battery Park, ma i biglietti si acquistano o si ritirano (come nel nostro caso, visto che Ellis Island è compresa nel New York City Pass), al Fort Clinton. La gente in fila è molta ma i traghetti sono capienti e non si aspetta molto. Sosta per ammirare e fotografare Lady Liberty e riprendiamo il traghetto successivo per Ellis Island.
Per la visita (interessante, audio guida compresa nel biglietto) ci vuole almeno un’ora, peccato che molti reperti erano assenti per restauro dopo l’uragano che ha investito New York non molto tempo fa. Rientro e pranzo al “Shake Shack” una “hamburgheria” di qualità (niente a che vedere con il McDonald, costa il doppio ma li vale), al 215 di Murray Street (è una catena e ce ne sono altri a New York). Ground Zero è una tappa obbligata e il memorial, ma soprattutto il museo, portano via parecchio tempo; poi la Trinity Church e Wall Street.
In metro andiamo a Brooklyn e precisamente a Washington Street, per uno scopo ben preciso: fare una foto del Manhattan Bridge con la stessa fantastica inquadratura resa famosa da un film cult: “C’era una volta in America”. Ritorno in albergo percorrendo, prima di prendere l’ennesima metro, il ponte di Brooklyn a piedi.
25 luglio New York (Midtown East – 5th Avenue – Upper East Side)
L’obiettivo della giornata è il MET (Metropolitan Museum of Art) ma prima diamo un’occhiata (solo dall’esterno) alla originale sagoma del Guggennheim. Al MET seguiamo sull’audioguida (stavolta avevamo la patente), per il 1° e 2° piano, il “percorso del Direttore” (ma solo alcune opere hanno la spiegazione tradotta in Italiano). Pranzo nella caffetteria del museo.
L’autobus n°1 percorre tutta la 5th Avenue che, essendo sabato, è molto trafficata, ma possiamo vederla tutta senza stancarci percorrendola a piedi (di km ne abbiamo fatti abbastanza al MET). Scorrono davanti a noi l’Apple Store, Tiffany e decine di store delle più celebri griffe, oltre alla cattedrale di St. Patrick.
Scendiamo in prossimità del Madison Square Park per vedere la curiosa sagoma del “Flatiron” e prendere un gelato da Eataly (al n° 200 della 5th). Prima di rientrare passiamo alla Port Autority per chiedere le modalità per prenotare un taxi la mattina che partiamo per Denver ma la risposta è che non si prenota e non c’è alternativa all’andare in strada e fermare il primo taxi che passa!
26 luglio New York (Midtown East – 5th Avenue – Chelsea – Greenwich Village)
Per percorrere almeno un tratto della High Line (la ferrovia urbana sopraelevata dismessa e trasformata in giardino pensile) scendiamo dalla metro C alla 23th, camminando verso la 10th dove, all’incrocio con la 20th c’è un ingresso. L’ex fabbrica di biscotti Nabisco (National Biscuit Company) trasformata in supermercato, il Chelsea Market, è uno dei posti cult di New York (per arrivarci occorre lasciare la High Line all’altezza della 16th, il Market è proprio di sotto).
All’interno (un po’ dark e molto freak) c’è di tutto; d’obbligo la seconda colazione da Sarabeth’s Bakery (ottimi il “pain du matin” e la cheescake al limone). Anche un’altra bakery (Amy’s Bread) meriterebbe, ma non accettano carte di credito e banconote di taglio superiore ai 50$ (e noi avevamo solo tagli da 100). C’è anche il negozio di Giovanni Rana con i suoi tortellini. Usciamo lasciando letteralmente gli occhi sulle aragoste di Lobster (uno dei ristoranti all’interno del Market), ma non sono ancora le 12 ed è troppo presto per mangiare (almeno secondo le nostre abitudini, mentre qui mangiano a tutte le ore).
Percorrendo Union Square si passa davanti all’Università e si arriva a Wash ington Square, bel parco allietato dalle note di un pianoforte, posto nel centro del parco stesso, diventato col tempo un ritrovo bohemienne. Foto d’obbligo al Cafè Wha?, dove iniziarono a suonare Bob Dylan, Jimi Hendrix e molti altri (all’angolo tra la Minetta Lane e la McDougal Street). Gironzolando per il Village passiamo davanti ad un campo da basket all’aperto e recintato, il famoso (veramente che era famoso l’abbiamo scoperto successivamente) Baskethall della 4th, detto “the cage” (la gabbia), dove stanno giocando due squadre femminili (tutte atlete di colore).
Divoriamo affamati (si sono fatte le 15, anzi le 3 pm, come si usa dire negli States) ottimi hamburger (con birra e patatine fritte) al Corner Bistro. Certo non è il massimo come alimentazione salutare e dietetica, ma a New York non conosciamo altro modo per spuntini veloci (usciti da New York e avendo a disposizione macchina e frigo portatile riusciremo a pranzare in modo più sano). A Bleeker Street una lunga fila preannuncia la vetrina di Magnolia Bakery, ma non ci fermiamo: abbiamo già esagerato. La tappa successiva è Bryant Park dove approfittiamo di sedie messe a disposizione di tutti per riposare e fotografare il Bryant Hotel, dall’aristocratica architettura decò, che mi aveva colpito vedendolo dall’alto dell’Empire tre giorni fa.
Decidiamo di terminare la giornata andando a cercare la scultura “LOVE” scoprendo che è sulla 6th all’angolo della via del MOMA, dove eravamo già stati. C’è la solita fila di gente che si deve far fotografare accanto e, pertanto, per fotografare l’oggetto senza presenze inopportune e non gradite è necessario ricorrere al solito trucchetto: Stefania si mette in fila, arrivato il suo turno si posiziona ma ad un mio cenno si scansa repentinamente e io posso fotografare.
Ripercorriamo un poco la 5th, fino a Tiffany, visitando la cattedrale di St. Patrick, poi basta, per oggi può bastare. Spesa al Market Amish vicino all’albergo (731 della 9th Avenue) con buona scelta di prodotti di qualità, anche delle fattorie Amish, a prezzi contenuti.
27 luglio New York (East Village – Nolita – Little Italy – Chinatown – Soho)
Dopo il solito caffè Illy, raggiungiamo con la metro C la 14th e di lì la 1th Avenue e l’East Village. Tompkins Park è, come sempre, un ritrovo di homeless, St. Mark’s Place è una piccola via con negozietti freak e murales, dove i fans dei Led Zeppelin vanno per fotografare il palazzo che si trova sulla copertina dell’album “Physical Graffiti”. Concludiamo l’ultima giornata newyorkese bighellonando per Nolita, Soho, Little Italy e Chinatown.
Questi ultimi due sono stati un po’ una delusione: Little Italy consiste, praticamente, in una sola strada di ristoranti “Italiani” (fino a che punto non lo sappiamo); Chinatown è solo un susseguirsi di negozi di cianfrusaglie, alimentari (ovviamente tutto cinese compresi strani frutti che non siamo riusciti a individuare) e ristoranti.
28 luglio Partenza per Denver – Grand Lake (Rocky Mountain NP) 130 miglia
Non ci fidiamo di cercare per strada un taxi (vista anche l’ora in cui dobbiamo partire: le 5,15 del mattino) pertanto ieri abbiamo chiesto all’addetto dell’albergo di farci venire un taxi per questa mattina (ovviamente non sarà “Yellow Cab”, non prenotabile, come già detto). Nonostante l’ora c’è un gran traffico (allora è vero che New York non dorme mai!).
In centro molti Tir che consegnano merci e, in uscita da Manhattan, traffico quasi fermo. Arriviamo alle 6 al JFK, stampiamo le carte di imbarco alle postazioni self-service, poi ai desk per consegnare i bagagli da stiva (baggage drop-off), quindi la sicurezza che passiamo molto velocemente perché non ci fanno tirare fuori dalle borse le elettroniche (?). Carissima la colazione al bar interno anche se comodi gli Ipad a disposizione in ogni tavolino.
A bordo dell’aereo (Delta) è possibile acquistare la connessione wi-fi o accedere gratuitamente alle app di Delta per vedere, sul proprio tablet, film in streaming (rivediamo di nuovo “Jersey Boys” stavolta in versione originale). Aeroporto funzionale, quello di Denver, con trenino interno che porta ai nastri per recupero bagaglio e shuttle delle compagnie di rent car. Il noleggio (presso la compagnia Thrifty), comprensivo di assicurazione RCA e Kasko, l’avevamo già pagato (come gli altri) prima della partenza dall’Italia (vedi NOTE – Prenotazione della macchina). Senza passare per Denver, ci dirigiamo verso le Rocky Mountains, pranzando con un’ottima fajita “Ranchero” al ristorante messicano “La Mariposa” di Lyons, 45 miglia dopo Denver, poco prima di iniziare la salita verso le Rocky Mountains.
Si comincia a salire in un ambiente prettamente alpino in un’ampia vallata; il sole è caldo ma l’aria comincia a rinfrescare. All’ingresso del parco, ci facciamo fare la tessera annuale (vedi sotto in COSTI) da una simpatica ranger che mostra soddisfazione e meraviglia vedendo la lista dei parchi che intendiamo visitare e iniziamo a percorrere la “Trail Ridge Rd”, la spettacolare strada che dai 2500 metri della stazione di “Fall River Entrance Station” sale, tra boschi e vedute mozzafiato, fino ai 3713 del passo.
Lungo il percorso (velocità max 35 mph ma strada molto buona) si incontrano cervi e scoiattoli. Grand Lake, alla fine della Trail Ridge Rd, è un tranquillo e turistico paese di montagna accoccolato attorno al suo lago, atmosfera bucolica e aria frizzante. Sistemazione nel soddisfacente motel Americas Best Value Inn Bighorn Lodge (con l’addetto alla reception che parlava abbastanza bene l’italiano) e spesa nella vicina grocery per la cena.
Nota: segnaliamo, per chi ha interesse per il quilting, il bel negozio con modelli e attrezzi, vicino a “La Mariposa”.
29 luglio da Grand Lake a Hot Springs 288 miglia
Tappa di trasferimento con obiettivo Custer (South Dakota). Partiamo alle 9,45 seguendo la strada indicata dal TomTom che ci porta prima a sud, verso Granby, per poi risalire verso nord con la 125 State Highway. La strada è (come quasi tutte le strade americane) buona ma con limiti di velocità di 35/50 mph. Dopo un susseguirsi di abetaie e tundra, passiamo l’Arapaho National Forest dove notiamo alti e grigi abeti secchi, intervallati ad altri “sani” (motivo?).
Tranne qualche raro ciclista colpisce l’assenza di traffico e di qualsiasi insediamento umano; solo una volta arrivati sull’altopiano compaiono poche case e qualche ranch (oltre all’immancabile Post Office con tanto di bandiera). La strada procede ora diritta (con intorno il nulla) fino a Walden e, dopo alcuni km, diventa Hwy 127, il paesaggio è sempre costituito da tundra e abetaie. Si scende un po’ di altitudine ma l’aria rimane fresca anche se il sole picchia ed enormi pascoli prendono il posto delle abetaie e della tundra.
Nelle ampie praterie a perdita d’occhio cominciamo a vedere numerose mandrie di splendidi bovini neri; sono di razza Black Angus e, successivamente, verificheremo che oltre ad essere belle bestie hanno anche una ottima carne. Dopo Guernsey si imbocca la Hwy 270 che comincia a salire tra le colline ma dura poco perché dopo poche miglia il panorama torna ad essere piatto e continuiamo a viaggiare tra immensi pascoli. Prima di Hot Springs fermati per eccesso di velocità: niente multa, solo un’ammonizione.
Decidiamo di fermarci a Hot Springs e non avendo prenotato, ci fermiamo (errore – vedi sotto in ALBERGHI) al Baymont Inn & Suites. La stanza è ampia con 2 letti Queen ma abbastanza cara (176$). Dopo la cena da Pizza Hut (buona), proprio dietro l’albergo, prenotiamo l’albergo a Lead per il giorno successivo.
Nota: in queste strade benzinai solo nei centri abitati: ne abbiamo incontrati, in 2,5 h di cammino, solo due.
30 luglio Custer State Park 172 miglia
Il Custer State Park (ingresso 15$, valido 7 gg; non è un parco nazionale, ma statale e l’Annual Pass non è valido) ci riserva colline verdi, panorami molto belli e bisonti (che negli USA chiamano bufali) e antilopi lungo la strada. L’aria è fresca ma al sole fa caldo. Si percorre il Wildlife Loop fino al Wildlife Visitor Center dove si prende una strada, sterrata ma con fondo buono e privo di buche, che riporta al Visitor Center dopo un percorso ad U.
Anche qui bisonti e molti piccoli roditori, simili a scoiattoli, curiosamente chiamati “Praire Dogs” (Cani della Prateria). La Hwy 16A, East verso il Monte Rushmore, presenta gallerie strette e basse, poi una deviazione della stessa 16A conduce al Monte. Dal parcheggio si arriva, in un paio di minuti al vasto piazzale dominato, dall’alto, dalle enormi sculture raffiguranti i volti dei 4 presidenti.
Ci sarebbe anche un sentiero che porta alla base delle sculture, ma non lo percorriamo ritenendo che la vista sia migliore dal piazzale. Sullo stesso piazzale self-service, gelateria e chiosco con hamburger di bisonte.
Con la 244 completiamo il giro della parte superiore del Loop e imbocchiamo la 16 per il Crazy Horse Memorial, la risposta indiana al Rushmore. Dal piazzale del parcheggio una navetta (4$ a testa) porta fin sotto l’enorme testa del capo indiano (l’unica parte del colossale monumento finora completata). Interessante il museo allestito nell’edificio del piazzale (assieme all’ovvio negozio di souvenir).
Con la 87North completiamo il percorso del Wildlife Loop, percorrendo la parte sinistra superiore (The Needles). Terminata la visita al Custer State Park puntiamo su Lead dove abbiamo prenotato al Blackstone Motel (eguale a quello della sera precedente ma a metà prezzo). Ceniamo all’Homestake Chop House (ristorante di livello vicino all’albergo), due fantastici sirloin di bufalo (110$ comprensive di birra artigianale, contorni e mancia).
Nota1: nel caso si viaggiasse in camper, accertarsi, consultando gli opuscoli che danno al Visitor Center, dell’altezza delle gallerie sopra citate e, quindi, della possibilità di poter passare con sicurezza.
Nota2: Il parcheggio coperto (sosta macchine 11$) è attrezzato anche per bus e camper.
31 luglio Da Lead a Buffalo 256 miglia
La meta è Yellowstone ma, vista la distanza (418 miglia), occorreranno due tappe. Partiamo alle 9,30 alla volta di Buffalo, decidendo di saltare la visita alla miniera di Lead e passando per Deadwood (ma non ci sembra che meriti una sosta).
Con la US 14A arriviamo a Spearfish (con sosta al Wallmart), poi il Spearfish Canyon, il Cheyenne Crossing, le Four Corners (con la HWY 585), Sundance, passiamo per la Devils Tower (un enorme monolite) e infine, Buffalo (piccola cittadina da non confondersi con quella, ben più grande, che si trova nello stato di New York). Pernottamento al Buffalo Inn.
1 agosto Arrivo allo Yellowstone NP 206 miglia
Seconda e ultima tappa di avvicinamento a Yellowstone. Si passa, percorrendo l’altopiano, per Sheridan, traversando la Bighorn National Forest, per poi scendere verso Cody. Qui tutto è “Buffalo Bill”. La “Old Town Trail” (1831 Demaris Dr. – Cody) si rivela un’attrazione artefatta perché le case sono state portate qui da diverse parti del Wyoming e del Montana e sono pochissime; sembra più una cosa per bambini e decidiamo che non vale i 9$ del biglietto (peraltro dalla strada d’ingresso si vedono tutte le case perché sono veramente poche).
Arriviamo a Wapiti (dove soggiorneremo i tre giorni in cui visiteremo il parco) all’albergo (più un motel in verità) Green Creek Inn and RV Park che avevamo prenotato da gennaio. Il motel non è un granché per quello che costa, ma siamo alle porte di Yellowstone, pertanto i prezzi salgono.
2 agosto Yellowstone NP 180 miglia
le Upper Falls viste dall’Artist PointConstatiamo lo svantaggio di aver preso un albergo fuori del parco: da Wapiti all’ingresso est sono 30 miglia a cui vanno aggiunte altre 20 dall’ingresso alla zona interessante (ma gli alberghi all’interno del parco hanno prezzi altissimi); visti i limiti di velocità all’interno (normalmente 25 mph, raramente 40 mph) significa circa 2 ore ogni giorno solo per raggiungere il punto (Fishing Bridge) dove iniziano i percorsi di visita e, naturalmente, altrettante per tornare in albergo; in definitiva 4 ore sprecate al giorno!
Durante il percorso vediamo 6 campeggi prima del parco e ben 12 all’interno dello stesso. Per oggi decidiamo di percorrere il lato dx dell’anello superiore, pertanto da Fishing Bridge prendiamo a dx verso Canyon Village e, dribblando i bisonti lungo la strada, vediamo i nostri primi due geyser: Mud Volcano e Sulphur Caldron. Anche se questi due primi geyser sono poca cosa rispetto agli altri che vedremo, l’ambiente è affascinante. Arriviamo al Gran Canyon di Yellowstone e prendiamo la prima deviazione a dx (South Rim Dr) percorribile con strada asfaltata (ovviamente c’è anche, parallelo, il sentiero).
Lungo la strada tre parcheggi corrispondono ad altrettanti punti panoramici: il 1° è immediatamente dopo il ponte, dal 2° parcheggio (Uncle Tom’s Point) si arriva con un breve sentiero alle Upper Falls View poi, percorrendo la Uncle Tom’s Trail (300 gradini!) si scende più vicini al fiume. Ma è al 3° parcheggio, quello del sito denominato Artist Point che ci aspetta la più spettacolare vista del parco: la vista frontale delle Lower Falls e di gran parte del canyon.
Una seconda deviazione ci porta al Brink of Lower Falls, per vedere le cascate dall’alto (con arcobaleno). Una terza deviazione circolare a senso unico (North Rim) permette di raggiungere altri interessanti punti panoramici del canyon, in ordine: Overlook Lower Falls, Lookout Point, Red Rock Point, Grand Wiew (ognuno dotato di parcheggio). Una deviazione dalla North Rim Dr, con strada a doppio senso, porta ad Inspiration Point. Tornati sulla North Rim Dr proseguiamo fino a Canyon Junction (Canyon Village) per riprendere poi la Grand Loop Rd verso Tower Junction (a dx). Sulla piantina è indicato il sito Washburn Hot Springs Overlook ma noi non lo abbiamo visto. Passiamo il Dunraven Pass (2700 m) e poi iniziamo a scendere.
Poco prima di Tower Junction ci sono le Tower Fall (brevissimo percorso per arrivarci), ma dopo le cascate del Gran Canyon queste sono poca cosa. Sono le 19 ed è ora di tornare indietro. Il TomTom ci avvisa che arriveremo alle 21 ma, poco dopo Fishing Bridge, troviamo il traffico bloccato dai bisonti, nello stesso punto in cui li avevamo visti la mattina all’andata. Arriviamo al motel alle 21,40.
Nota1: consigliamo, alla luce dell’esperienza fatta, se proprio non fosse possibile alloggiare all’interno del parco (occorre prenotare mesi prima e sborsare cifre non indifferenti) di cercare alloggi prossimi all’entrata nord o, meglio ancora, a quella ovest: si è quasi subito nella zona da visitare e si risparmiano almeno 30+30 miglia al giorno.
Nota2: all’ingresso è disponibile, oltre alla consueta mappa, anche un depliant in italiano.
3 agosto Yellowstone NP 234 miglia
Uscita al 7,50 (visto il tempo che occorre per arrivare nella zona di visita del parco, cerchiamo di uscire presto). Decidiamo di percorrere, oggi, la parte sx dell’anello superiore, pertanto, proseguiamo fino al Canyon Village, da qui a Norris e giriamo a dx per Mammoth. Non si rivelerà, con il senno di poi, una scelta felice.
La strada per Mammoth è in rifacimento (ed è chiusa la notte), molto dissestata, più in là diventa a senso unico alternato e la velocità media non supera le 10 mph. Passiamo i laghetti citati dalla Lonely Planet. Dopo il Beaver Lake inizia un tratto costeggiato sulla dx da una parete di ossidiana. Arrivati all’Indian Creek cerchiamo la deviazione per Sheepeater Cliff, ma i lavori in corso hanno modificato l’assetto stradale e non riusciamo a vedere l’indicazione.
Arriviamo all’incrocio con la Bunsen Peak Road, ma il percorso per arrivare al Bunsen Peak è di 21 miglia e desistiamo, visto il ritardo accumulato per le condizioni della strada. Nel vicino parcheggio piccolo corso d’acqua con una famiglia di lontre. Arriviamo a Mammoth Hot Springs. Prima facciamo il percorso in macchina con strada a senso unico parcheggiando per vedere le concrezioni calcaree delle terrazze superiori; poi andiamo alle terrazze inferiori che si trovano vicine alla zona con il Visitor Center, negozi, alberghi e servizi vari.
Purtroppo ormai le sorgenti sono quasi tutte secche da tempo e le concrezioni presentano molte zone grigie. Tutto sommato ci lasciano abbastanza indifferenti, forse perché abbiamo ancora il ricordo di quelle di Pammukale, in Turchia (ben altra cosa). Proseguiamo verso Tower Junction, ma, poco prima facciamo una breve deviazione per il Petrified Tree (è un solo albero pietrificato non una foresta). Dopo Tower Junction (che è praticamente l’incrocio con la strada per la Lamar Valley, deviazione che non facciamo perché ci porterebbe via troppo tempo), ci fermiamo al “Calcite Springs Overlook”, da dove si può ammirare una sezione del Grand Canyon dello Yellowstone più a nord di quelle visitate il giorno prima.
Per dare un senso alla giornata e per avvantaggiarsi sulle cose da vedere l’indomani, ripercorriamo il tratto Canyon Village – Norris per vedere l’interessante Norris Geyser Basin e ne vediamo una parte. Al ritorno, dopo la zona popolata dai bisonti (Hayden Valley), da uno spiazzo nella Pelican Valley, avvistiamo, da molto lontano, due o tre grizzly. A parte i disagi provocati dai lavori stradali, il percorso da Mammoth – Norris – Tower Junction non è stato entusiasmante e, specie se si ha poco tempo, potrebbe essere tranquillamente eliminato. Ritorno al motel per la solita via.
4 agosto Yellowstone NP 261 miglia
Purtroppo cielo grigio. Ci fermiamo di nuovo allo spiazzo della Pelican Valley e anche stavolta ci sembra di vedere tre orsi, ma sono lontani e ci vorrebbe un binocolo (che non abbiamo). Proseguiamo per Grant Village (verso sx dopo Fishing Bridge) e, una volta arrivati, decidiamo di tentare la sorte con il tempo (le nuvole si fanno sempre più minacciose) e ritorniamo indietro un paio di miglia a Thumb dove c’è la deviazione che, passando davanti l’Old Faithful, porta a Madison e quindi a Norris dove riusciamo a parcheggiare non senza difficoltà (sono le 12, ora del pienone).
A Norris completiamo la visita iniziata ieri per poi tornare indietro fino al Fountain Paint Pot (Lower Geyser Basin). Nella preparazione del viaggio avevamo previsto di completare per oggi la visita di Yellowstone e, pertanto avevamo prenotato (anche qui da gennaio) un albergo a Jackson, il Flat Creek Inn, per visitare il Grand Teton. Pertanto, vista l’ora e il tempo minaccioso, ci dirigiamo a Jackson (distante più di 100 miglia) con l’intenzione di vedere la parte mancante di Yellowstone (soprattutto l’Old Faithful), l’indomani, partendo da Jackson.
Cena alla Steakhouse “Gun Barrell”: ottimi sia il filetto di bufalo che la cotoletta di cervo (elk rib), poi la spesa al vicino Albertsons e a nanna, sperando, per l’indomani, nella clemenza di Giove Pluvio.
5 agosto Yellowstone NP 211 miglia
Partenza alle 9,46 (eravamo stanchi). Purtroppo il cielo su Yellowstone non promette nulla di buono. Ai caselli d’ingresso un cartello avverte che tutte le strutture ricettive (campeggi compresi) sono piene. Ci fermiano all’Old Faithful per controllare l’orario del geyser e decidiamo di fermarci perché erutterà tra circa 40′.
Preciso come un orologio il forte getto si alza per decine di metri. Andiamo avanti fino al Firehold Paint Pot ed infine al Grand Prismatic. Dalla passerella, troppo bassa, non si vede come vorremmo ma, davanti a noi, su una collinetta, vediamo molte persone che stanno fotografando. Ci dirigiamo quindi, a piedi, al parcheggio poco più avanti di quello del Prismatic, da dove partono dei sentieri, da uno di questi si sale (senza più sentiero) alla collinetta.
Effettivamente la vista è migliore ma facciamo appena in tempo a scattare una foto prima di essere investiti da un improvviso temporale. Peccato, perché i colori del Prismatic sono fantastici. Scendiamo velocemente e, fradici nonostante i K-Way, arriviamo alla macchina. Il temporale ci seguirà quasi fino a Jackson.
6 agosto Grand Teton 61 miglia
Giornata dedicata al Grand Teton che visitiamo percorrendo la Teton Park Road dall’ingresso sud. Dapprima deviamo a sx per il Cunningham Cabin Historic Site poi, ritornati sulla Teton Park Road, raggiungiamo il Jackson Lake Jet; breve sosta al Signal Mountain Lodge (dove ci sono un po’ di servizi) e poi di nuovo sulla Teton per imboccare la Signal Mountain Dr. dove c’è un overlook.
Purtroppo la giornata non è limpida e i ghiacciai sono coperti da nubi basse.
Iniziamo il ritorno verso sud, sempre sulla Teton Park Road, fermandoci al Potholes Turnout, poi verso il Jenny Lake, dove, nei pressi del Visitor Center, prendiamo il battello che ci porta dall’altra sponda del lago dove un sentiero, di soli 600 m ma con un buon dislivello, porta all’Inspitation Point da dove si scorgono le Hidden Falls. Un’ultima deviazione, all’altezza di Moose Junction, per imboccare la strada che porta a Wilson; qui incontriamo la Riserva Rockefeller ma chiudeva alle 17. Ritorno a Jakson.
7 agosto Trasferimento a Salt Lake City 308 miglia
Meta: Salt Lake City. La strada passa per la Caribou National Forest (Idaho). Abeti e colline verdissime, ranch con i classici granai (barn). Ci colpisce vedere come quasi tutte le case siano il legno (più in là constateremo che è la normalità al di fuori delle grandi città). Molti cartelli di siti storici ricordano come nell’800 qui fu trovato l’oro nel Grey’s River.
Adesso alle colline si sostituiscono immensi pascoli con le nere “Black Angus”, intervallati ad altrettanto immensi campi coltivati. Sul percorso totale assenza di macchine, abbiamo la strada tutta per noi; comunque è una strada considerata “storica” perché passa in luoghi raggiunti dai pionieri nell’800.
L’aspetto bucolico s’interrompe bruscamente a Soda Springs dove troneggiano enormi discariche e l’impianto della Monsanto. Passiamo per cittadine tutte costituite da case a un piano (di legno) lungo la strada. Arrivo a Salt Lake City. Pernottamento al Motel 6 (pessimo).
8 agosto San Francisco
Arriviamo all’aeroporto di Salt Lake City e, consegnata la macchina, ci imbarchiamo sull’aereo per San Francisco. Arriviamo alle 13,30, taxi per l’albergo (non abbiamo preso subito la macchina perché l’albergo era in centro e i costi dei parcheggi in città sono proibitivi).
Visitiamo, nell’ordine: Union Square (proprio dietro al nostro albergo, l’ottimo Hotel Beresford), Chinatown (molto meglio di quella di New York), Nob Hill con le sue belle case vittoriane e decò, Washington Square, la curiosa serpentina di Lombard Street (strapiena fino all’inverosimile), concludendo la giornata prima al Fisherman’s Water Front e poi, ovviamente, al famoso Pier 39 e all’Embarcadero.
Animati fino all’inverosimile, zeppi di ristoranti e locali take-away, rutilanti di luci e di suoni (e di odori) il Fisherman’s WF e il Pier 39 sono veramente la vetrina più spettacolare di questa affascinante città, viva ma non caotica, tollerante ma non anarchica, cosmopolita eppure così “americana”. Ritorno in albergo passando per Market St e Sutter St.
Nota: nonostante che siamo ad agosto il clima è primaverile, non fa assolutamente caldo, anzi, è consigliabile portarsi appresso una felpa, anche a causa della costante ventilazione.
9 agosto San Francisco
Al Visitor Center all’interno della stazione metro Powell (poco a sud di Union Square) acquistiamo la Card per i trasporti (Passport) valida 24 ore a 17$ (alle biglietterie della metro è disponibile solo quella elettronica che costa 20$) e completiamo la visita a Frisco. Dall’atmosfera beat di Haight Ashbury a quella chicanos di Mission, per finire con quella trendy di Castro.
Veramente imperdibile Mission: i suoi negozietti, i colori e gli odori, e i suoi murales fantastici. Da non perdere assolutamente la Casa delle Donne (Women’s Building – 3543 18th St./Guerrero St.) interamente decorata (all’esterno) con murales coloratissimi. La Cartoville del TCI cita due vie dove poter ammirare i murales più significativi, ma, oltre a quelli indicati ce ne sono molti altri, altrettanto belli e da vedere.
Pranziamo (benissimo, con burritos e carne asada a la parrilla) alla Taqueria Cancun ( 2288 Mission St./19th St.). Il Mission Dolores Park è il posto migliore per riposarci. Il parco è pieno di ragazzi (e non): chi prende il sole, chi fa il pic-nic (riportando ordinatamente i rifiuti a due addetti ai bordi del parco), chi suona, chi si esibisce in virtuosismi vari e acrobazie; il parco non è solo il polmone verde di San Francisco, è il luogo dove si percepisce veramente l’anima di questa città.
Dopo Castro, feudo della comunità gay, dominata dalla gigantesca bandiera arcobaleno, facciamo, con il tram F, l’intero percorso da Castro fino a Fisherman’s Wharf, poi con il 30 e il 28 fino al Golden Gate Bridge, come sempre avvolto nella nebbia. Ritorno al Pier 39 per cena (frittura di pesce e, ovviamente, la classica “Crab Chowder” cioè zuppa di granchio servita nella pagnotta svuotata) al Hook & Cook.
Non abbiamo avuto il tempo di provare i famosi Cable Car (una corsa compresa nel Passport), ma le file ai capolinea erano lunghissime.
10 agosto Da San Francisco al Yosemite NP 256 miglia
Riusciamo a districarci dal rental car della Budget, all’aeroporto, solo alle 10,30 e partiamo in direzione di Groveland per entrare nello Yosemite NP dalla hwy 120, che proseguirebbe fino al Tioga Pass, ma, avendo escluso di raggiungere la ghost town di Bodie, avevamo già deciso di non proseguire oltre l’incrocio con la “Big Oak Flat Road”, che prendiamo per dirigerci direttamente a Mariposa (visto che sono già le 18), rinviando il giro del parco all’indomani.
Lungo la strada passiamo per El Portal, lungo il Merced River (dove ci sono vari lodge che potrebbero essere più comodi perché più vicini alla Yosemite Valley, che avevamo trovato inavvicinabile per il pernottamento). Arrivati al motel Mariposa Lodge, precedentemente prenotato, andiamo subito a cena al ristorante Charles Street Dinner House (la migliore cena di tutto il viaggio), a pochi metri dal motel (uscendo a dx).
Nota1: prendere la macchina all’aeroporto con la compagnia Budget era l’unico modo per non pagare la “one way fee”, visto che la macchina la consegneremo a Los Angeles. Con le altre compagnie non sarebbe stato possibile)
Nota2: fare benzina prima di entrare nel parco, all’interno può costare anche 1$ in più a gallone.
11 agosto Yosemite NP 179 miglia
Facciamo il percorso circolare one-way della Yosemite Valley. Purtroppo le famose cascate dello Yosemite, che s i possono ammirare da un parcheggio della Northside Dr, sono secche (ma lo sapevamo), quindi ci fermiamo ai vari parcheggi per ammirare i bei panorami fino ad arrivare a quello del Yosemite Village, dove prendiamo la navetta per il Visitor Center (in alternativa 10′ a piedi) per vedere il villaggio indiano degli Ahwahnee e il Yosemite Museum (molto interessanti le ceramiche e gli abiti delle squaw esposti).
Proseguiamo il percorso e alla fine della one-way usciamo in direzione di Fresno sulla Wawona Road. Immediatamente a dx ci sono le Bridalveil Falls che, purtroppo, come sempre d’estate, sono secche. Una manciata di miglia ed ecco in corrispondenza di un tunnel c’è una vista veramente splendida dell’Half Dome e dell’intera valle. L’half dome è uno dei monoliti più grandi al mondo e questa è la particolarità che lo rende famoso e che attira scalatori a cimentarsi su una parete quasi verticale.
Dopo poche miglia, a Chinquapin si prende la deviazione per il Glaciar Point, che ci riporta fin sopra la Yosemite Valley e da dove si vede benissimo l’Half Dome.
Dei tanti parchi visti in questo viaggio, il Yosemite è quello che ci ha colpiti di meno. Intendiamoci è un parco molto bello ma di una tipologia molto simile a quella di tante zone montane europee, una bellezza meno “diversa”, meno “unica” (come sono invece la Death Valley o il Bryce NP, tanto per fare un esempio) per cui viene spontaneo fare un paragone con le nostre Dolomiti o con le Alpi austriache (e il Yosemite ci perde).
Pernottamento a Fresno al Piccadilly Inn Express.
Nota: evitare di arrivare in tarda mattinata per non rischiare di trovare il parcheggio del Visitor Center pieno e, pertanto, chiuso dai rangers.
12 agosto Sequoia NP 307 miglia
Da Fresno prendiamo la hwy 180 fino all’ingresso del parco. Poco dopo l’ingresso (Big Stump Entrance) la strada si divide: a sx per il King’s Canyon NP e a dx per il Sequoia NP. Facciamo un pezzo della strada del King’s Canyon per arrivare al General Grant Tree; poi torniamo indietro per riprendere la strada del Sequoia NP. L’aria è fresca ma, a nche se siamo sopra i 1500 m, al sole fa molto caldo.
Da un overlook sul King’s Canyon vediamo un incendio che avanza e copre di fumo il Canyon. Qui dei ranger ci spiegano come i piccoli incendi non vengano spenti, ma “controllati”; infatti se si lasciasse proliferare eccessivamente la vegetazione tra un albero e l’altro questa diventerebbe, una volta che scoppia un incendio, un combustibile di difficile spegnimento con il rischio di far bruciare anche gli alberi. Invece i piccoli incendi di vegetazione scarsa non danneggiano gli alberi in quanto un fuoco non eccessivo non intacca la loro corteccia (in particolare questo discorso vale per le sequoie).
Dopo aver visitato il Visitor Center del parco ci spostiamo al parcheggio dove si prende la navetta per andare a vedere il General Sherman Tree, il più maestoso delle gigantesche sequoie del parco. Lo spettacolo di questi alberi (non solo dei due citati) è impressionante, ci si sente veramente piccoli. Terminata la visita ci avviamo verso Santa Maria, sulla costa, all’albergo prenotato. La General Highway, la discesa con tutti tornanti che passa per Amphitheater Point, è impegnativa.
Dopo poco ci fermiamo vicino ad un lago artificiale e, scendendo dalla macchina, sentiamo un’aria veramente bollente. Siamo partiti dal parcheggio del General Sherman Tree alle 15 e siamo arrivati a Santa Maria alle 19,20. Pernottamento al Days Inn.
Nota1: in entrambi i parchi non esistono distributori di carburante.
Nota2: ci sarebbe un parcheggio proprio sotto il breve sentiero che conduce al General Sherman Tree, ma è riservato ai disabili.
13 agosto Santa Barbara – Los Angeles 241 miglia
Da Santa Maria raggiungiamo il mare passando per Guadalupe ed entrando nella riserva delle dune (N 34°57’55” – W 120°39’01”). Il panorama delle dune e della spiaggia è incantevole. Passiamo per la deliziosa Santa Barbara, pranzando con un buon piatto di pesce allo Shoreline Cafe (801 Shoreline Drive), una terrazza sulla spiaggia, poi di nuovo la 101 fino al bivio per Malibù dove, alle 15, ritorniamo sulla costa, ma non è un’idea felice perché il traffico è completamente bloccato ed arriviamo all’hotel di Los Angeles alle 17,15, decidendo di uscire dall’autostrada e seguire le stradine suggerite da Maps.
Dobbiamo sbrigarci ad andare all’aeroporto a prendere Andrea e Agnese, che dovevano arrivare da Charlotte dove il volo da Roma aveva fatto scalo, ma ci comunicano che la coincidenza è saltata e che arriveranno solo l’indomani in tarda mattina. Noi dobbiamo comunque andare in aeroporto a consegnare la macchina per prenderne, presso la compagnia Dollar, una con portabagagli più grande (a questo punto abbiamo 4 trolley grandi e 4 piccoli); optiamo per un suv, la Dodge Journey (in Italia venduta come Fiat Freemont), che si rivelerà ottima e, soprattutto spaziosa.
Visto che i garage delle compagnia di rent car sono fuori (2-3 miglia) dall’aeroporto e distanti tra loro, una volta lasciata la macchina alla Budget, dobbiamo prendere la loro navetta per l’aeroporto e poi, una volta giunti, prendere quella della Dollar dall’aeroporto al loro garage. L’aeroporto di Los Angeles è una vera bolgia, traffico pazzesco a tutte le ore, mai visto un aeroporto internazionale così congestionato. Pernottamento al The Dixie Hollywood.
14 agosto Los Angeles 40 miglia
Se San Francisco è stata, per noi, una splendida scoperta, Los Angeles ha rappresentato una grossa delusione. Traffico caotico a tutte le ore, estrema difficoltà di trovare parcheggi lungo le strade (vedi nota) mentre quelli privati, numerosi, costano cifre assurde; sembra una città che vive solo per l’industria cinematografica.
In definitiva tutto si esaurisce, per chi interessa, in una passeggiata sulla Walk of Fame per vedere le famose stelle con i nomi delle “Star” hollywoodiane sul marciapiede o le impronte delle mani e dei piedi di quelle ancora più “Star” davanti al Teatro Cinese e arrivare ad osservare, dall’Osservatorio Griffith, la famosa scritta “Hollywood” sulla collina antistante. Molti quartieri sono off limits di sera (alcuni anche di giorno). Cena a Santa Monica.
Nota: a Los Angeles il divieto di sosta lungo i marciapiedi è segnalato dalla colorazione del bordo del marciapiedi stesso: rosso vuol dire divieto di sosta sempre, poi ci sarebbero altri colori di cui non abbiamo compreso il significato. In definitiva si può parcheggiare solo dove il bordo del marciapiedi non presenta nessun colore. Pertanto è consigliabile prenotare solo alberghi con parcheggio garantito (al Dixie, ad esempio, non lo era e, rientrati da una cena alle 23, era tutto occupato e abbiamo dovuti penare per trovarlo fuori dell’albergo)
15 agosto Death Valley 403 miglia
Con la hwy 190 verso la Death Valley. Il caldo è notevole (alle 15 ci sono 50° C) ma, per fortuna, l’umidità è nulla e, quindi, si riesce a tollerarlo decentemente. Uscendo dalla macchina l’effetto che si prova è identico a quello che si ha aprendo un forno acceso da un bel pezzo a 200°C.
Vediamo, nell’ordine e sempre sulla 190, Panamint Springs, le fantastiche Mesquite Flat Sand Dunes, Fournace Creek, la piana salina di Bad Water (un cartello sulla parete rocciosa antistante segnala che siamo a 86 metri sotto il livello del mare) e i fantastici colori dell’Artists Palette. Si ritorna a Fournace Creek per andare all’albergo a Beatty (Death Valley Inn & RV Park).
Nota1: a Beatty la benzina costa normalmente, ma, all’interno della Death Valley, costa fino a 2$ in più al gallone.
Nota2: nell’attraversamento della Death Valley è consigliabile non usare il condizionatore (o farlo in maniera moderata) per non surriscaldare il motore. Ricordarsi che nella Valley non c’è campo per i cellulari e chiamare un carro attrezzi risulterebbe problematico (per non dire impossibile).
16 agosto Death Valley NP– Las Vegas 244 miglia
Ritorniamo nella Valley per terminare la visita. Passiamo per la ghost town di Rhyolite (non di grande interesse) e ripassiamo per Fournace Creek per andare, tramite una diramazione della 190, a Zabriskie Point (vedute mozzafiato sui calanchi) e Dante’s View. Lungo la strada che porta a Las Vegas area pic-nic (N 36°38’34” – W 116°23’59”) con tavolini sotto gli alberi, bagni, benzinaio e market con gadget “alieni”.
Visto che non si sa esattamente dove sia la fantomatica “Area 51” molti (market, alberghi, …) la collocano nei loro pressi. A Las Vegas costatiamo, con rammarico, che il Museo del Neon aveva terminato i biglietti per quel giorno. Che dire di Las Vegas: che sfugge ad ogni catalogazione, è il trionfo del kitch più sfrenato, del lusso più ostentato, è pazzesca, insonne, esagerata in tutto. Passarci una mezza giornata è divertente, di più fa venire l’orticaria (almeno a chi scrive). Cena, con la solita (anche se ottima) bistecca, all’Harley Davidsons Restaurant e pernottamento al Flamingo Las Vegas Hotel & Casino.
Nota1: in tutti i parchi che incontreremo da questo punto in poi (generalmente in tutti i parchi del sud-ovest) è importante portarsi appresso (specie se si fanno percorsi) un’adeguata riserva d’acqua perché fa veramente caldo. A tal proposito ci sono espliciti cartelli all’inizio dei percorsi.
Nota2: nel Visitor Center della Death Valley è disponibile, oltre alle consuete mappe, anche depliant in Italiano.
17 agosto Zion NP 160 miglia
Da Las Vegas allo Zion NP passando per St. George, dove ci sono molti centri commerciali. Arriviamo a Springdale, la porta dello Zion NP, all’ora di pranzo e, lasciati i bagagli all’albergo, prendiamo la navetta per il parco. Arrivati al termine del percorso della navetta, al Temple of Sinawava, inizia la Riverside walk che risale il Virgin River incassato tra le alte pareti del canyon; per un bel tratto l’acqua è bassa, arriva al massimo alle ginocchia, dopo si fa leggermente più alta: lo spettacolo è suggestivo e la camminata non faticosa. Penottamento all’Holiday Inn Express.
Nota: la navetta percorre la “Zion Canyon Scenic Drive” che non è percorribile dai mezzi privati (dall’incrocio con la hwy 9). Ci sono fermate nei punti in cui iniziano sentieri per escursioni. Si prende al Visitor Center, dove ci sono ampi parcheggi per lasciare il proprio mezzo. C’è anche una navetta che porta dal paese al visitor center, fermandosi in vari punti soprattutto vicino agli alberghi.
18 agosto Bryce Canyon NP 232 miglia
Partiamo per il Bryce percorrendo la panoramica hwy 9, che si imbocca un po’ a nord di Springdale. Poco dopo il bivio s’incontra un tunnel (vedi nota sotto) e, immediatamente dopo, un parcheggio con segnalazione di un overlook .
Il percorso per raggiungerlo è di media difficoltà, ripido ma breve (poco più di 200 m), affrontabile almeno con scarpe da ginnastica, ma vale la pena, la vista è splendida. La hwy 9 finisce sulla 89, dove a destra si va al Grand Canyon e a sinistra al Bryce, dove siamo diretti noi. Imbocchiamo la 12 passando per il Red Canyon e arriviamo alla nostra meta.
Il Bryce NP è percorso da un’unica strada con vari punti di sosta che portano a dei percorsi o a punti panoramici. Conviene arrivare fino al Rainbow Point, ultimo punto panoramico e, poi, tornare indietro fermandosi agli altri indicati dalla mappa (consegnata, come sempre, all’entrata al parco). In alternativa si può prendere uno shuttle gratuito che parte da Bryce Canyon City e fa varie fermate con l’autista che scende e illustra le particolarità delle vedute.
La vista, dai vari punti di osservazione è fantastica. Imperdibile la passeggiata lungo il percorso circolare denominato Navajo Loop (tempo di percorrenza: 1,15 h) che parte e arriva al Sunset Point. Il parco, come sopra detto, presenta vari percorsi da trekking ma, ovviamente, per poter visitare a fondo tutti i parchi ci vorrebbe una vita.
La temperatura è gradevole anche per la generosa ventilazione (ma la sera, al motel, sarà di 9°C). Il Foster’s Motel, è alquanto scadente; buona, invece, la cena (e la colazione all’indomani) alla steakhouse annessa.
Nota: il tunnel sopracitato è stretto, comunque percorribile gratuitamente per le autovetture; per camion, camper e comunque mezzi le cui misure eccedono quelle illustrate al casello d’ingresso al tunnel, c’è un ticket da pagare in quanto, per farli passare, gli addetti bloccano il traffico nel senso opposto.
19 agosto Capitol Reef – Arches NP 347 miglia
La hwy 12, la strada panoramica verso Capitol Reef, corre tutta sull’altopiano, con un paesaggio contornato da rocce di colore grigio con venature sul rosso. Tra Escalante e Boulder si snoda la One Million Dollar Road, costruita dal Civilian Conservation Corps (CCC). Nelle valli pianure molto verdi con coltivazioni, sulle alture (a forma di tronco di cono) solo cespugli.
Dopo Boulder si entra nella Dixie National Forest, bellisimo ambiente verde e fresco (alle 12 avevamo 18°C). La 12 termina sulla 24, dove giriamo a destra per Fruita. All’incrocio troviamo un benzinaio, il motel Days Inn e un locale con ottimo caffè e deliziosi pasticcini al cioccolato. Anche per Capitol Reef il colore dominante delle rocce è il rosso. Avevamo letto di frutteti (la strada parte dal Visitor Center) piantati dai primi abitanti alla fine dell’800 (coloni mormoni) dove vendevano frutta che si poteva cogliere direttamente dagli alberi, ma erano chiusi perché la frutta non era ancora matura.
Il parco è stretto e lungo e la 24 l’attraversa lungo il lato corto; per visitarlo bene occorre percorrere strade bianche e/o percorribili solo con 4×4. Non avendo auto adatta e dovendo, per ragioni di tempo, fare una selezione delle cose da vedere, decidiamo di limitarci a questo percorso, vedendo prima The Castle (formazione rocciosa) e dei petroglifi, che sembrano rappresentazioni di alieni. Una strada contornata da rocce di arenaria grigia ci porta ad Hanksville (pranzo al Duke’s Stick Rock Grill). L’interstate 70 presenta un ambiente desertico con, all’orizzonte, le formazioni rocciose del tipo di quelle della Monument Valley. Con la 191 e, poi, la 313 per le Canyolands arriviamo al Dead Horse Point, overlook molto bello che spazia su un ampio panorama tra cui il pianoro con strapiombo immortalato nella scena finale di Thelma & Louise (10$ a vettura).
Il sole sta tramontando quando arriviamo all’Arches NP.
Facciamo un giro esplorativo prima di recarci all’albergo a Moab, ci fermiamo subito al punto denominato Park Avenue, proseguendo verso gli archi, ma verifichiamo che sono o distanti dalla strada o, se sulla strada, lontani; pertanto, visto che si sta facendo buio e la temperatura sta scendendo (di giorno era gradevole), puntiamo su Moab (cittadina piena di ristoranti e motel), pernottando all’Aarchway Inn.
Nota: L’istituzione del Civilian Conservation Corps (CCC), la cui nascita fu chiesta espressamente da Roosevelt in un messaggio al Congresso del 21 marzo 1933. Il “CCC” dal 1933 al 1942 assoldò oltre tre milioni di disoccupati che furono destinati a curare la manutenzione e la conservazione delle risorse naturali. Lo stato forniva loro un riparo, dei vestiti, del cibo e un salario di 30 dollari al mese (una parte del salario doveva essere però inviato alle famiglie).
20 agosto Arches NP 164 miglia
Ripercorriamo la strada iniziata la sera prima e puntiamo subito al Delicate Arch. Dall’unico ingresso (il Visitor Center è immediatamente dopo) parte l’unica strada che percorre il parco, con deviazioni per i vari Arches e ci sono circa 19 miglia per arrivare al parcheggio da cui parte il percorso per quello che è considerato il più bello degli Arches del parco (non a caso è diventato il simbolo dello Utah).
Il sentiero per raggiungere il Delicate Arch (Upper Delicate Arch Viewpoint) è classificato come “difficoltoso” sia nella piantina, consegnataci, come sempre, all’ingresso al parco, sia in alcuni diari di viaggio. A noi è sembrata, francamente, una classificazione esagerata; certamente è in salita (146 m di dislivello) ma non ci è sembrato nulla di terribile e abbiamo visto salire tranquillamente anziani (anche chi scrive non è certo un fanciullo) e famiglie con bambini piccoli, ovviamente tenuti per mano in alcuni limitati punti (calcolare 2 h a/r con sosta per foto). A nostro avviso, più che il percorso, è il caldo a preoccupare, anche perché nel suo sviluppo non presenta punti d’ombra; consigliabili berretti e molta acqua.
Per fotografare il maestoso arco devo ricorrere sempre al solito trucchetto (come a New York). Lo spettacolo è bellissimo, peccato che il sole era velato. Dal parcheggio di cui sopra si raggiunge, in pochi minuti, quello per ammirare (stavolta senza sentiero) il Delicate Arch dal basso (Lower Delicate Arch Viewpoint). Torniamo sulla strada principale del parco e proseguiamo fino al termine della strada per vedere il Landscape Arch. Da qui, tornando indietro verso l’entrata/uscita, un’altra deviazione, dopo quella per il Delicate Arch, porta al Double Arch (dal parcheggio breve e facile sentiero).
Usciti dal parco ci dirigiamo verso Monticello per il pernottamento, deviando, lungo il tragitto sulla 211, in direzione di Needles. Dopo circa 12 miglia si incontrano i petroglifi del Newspaper Rock State Historic Monument (carenti le indicazioni e ipotesi di ricostruzione storica). Per Needles sarebbero, complessivamente, 30 miglia quindi rinunciamo. Pernottamento a Monticello all’Inn at the Canyons.
21 agosto Mesa Verde NP 145 miglia
Si arriva a Mesa Verde passando per Cortez e Durango. Le visite (guidate, solo in inglese) ai due pueblo, Cliff Palace e Balcony House, edificati in grandi fenditure orizzontali della montagna, vanno prenotate al Visitor Center.
Noi prenotiamo per il Cliff Palace per le 16,30, considerando che i due siti non sono molto diversi (almeno vedendo le immagini dei depliant) e, soprattutto, che per accedere al Balcony occorre, oltre che arrampicarsi su scale a pioli (non eccessivamente difficoltose, presenti anche nella parte finale della visita al Cliff Palace), percorrere gradini a picco sul canyon e un breve tunnel di 3,7 metri che, per le sue dimensioni, può essere attraversato solo a carponi o strisciando, e chi scrive, con le ginocchia plurioperate, non poteva assolutamente farlo.
Comunque nel Visitor Center, scale e tunnel sono riprodotti a grandezza naturale per permettere di effettuare prove prima di decidere la eventuale visita. Il pueblo Cliff Palace è senza dubbio interessante e, assieme al Balcony, molto più conservato e restaurato degli altri (a visita libera) della zona, come la Spruce Tree House. Interessante il Chapin Mesa Archeological Museum con bella collezione di vasi navajo.
Tra lo Spruce e il Balcony si trova il Cliff Palace Loop, lungo il quale si possono vedere altre testimonianze della vita dei pueblo. Fa caldo anche se c’è ventilazione. Stanchi torniamo in albergo (il Baymont Inn & Suites a Cortez) ristorandoci in piscina, poi cena messicana e a nanna.
Nota1: al Visitor Center, oltre alle consuete mappe e depliant, anche in italiano, gratuite, sono disponibili (ad 1$) le bruchure, in italiano, dei vari pueblo, con la storia e altre info. Sono consigliabili perché non è facile comprendere l’americano parlato (ben diverso dall’inglese scolastico).
Nota2: al Baymont lavanderia a gettone con asciugatrici.
22 agosto Verso la Monument Valley 135 miglia
Dopo la solita spesa al Walmart, diritti verso la Monument Valley, passando per Aneth, Bluff e Mexican Hut; lungo la strada molti agglomerati di case di legno e lamiera e anche di case-mobili. Prima del “cappello messicano” avevamo fatto una deviazione di 4 miglia per il Gooseneck State Park, per ammirare la serpentine che il Colorado River si è divertito a fare per la gioia di noi turisti.
Fa caldo (32°C). Arriviamo all’albergo nel tardo pomeriggio. Avevamo faticato molto (vedi sotto in ALBERGHI), per trovare una camera al Goulding’s Lodge, uno dei due alberghi (l’altro è “The View”) che stanno dentro la Monument Valley, proprio davanti alle fantastiche “torri” rosse immortalate in tanti film (da Ombre Rosse a Forrest Gump), ma purtroppo una nuvola proprio davanti al sole rovina tutta la “magia” del tramonto nella Valley. Cena nell’ottimo ristorante dell’albergo (senza bevande alcooliche come in tutto il territorio navajo).
23 agosto Monument Valley 155 miglia
Sveglia prima dell’alba per non perderci la vista del sole che sorge da dietro le “torri”. Ma niente da fare, non c’erano molte nuvole in cielo ma quelle poche erano tutte proprio dove stava sorgendo il sole. Per fare bene e con tranquillità il giro del parco (con la nostra macchina) impieghiamo circa 3 ore (soste per foto comprese), considerando che si va piano perché il percorso è alquanto accidentato (vedi nota). Inutile dire che il panorama è fantastico. Usciti dalla Monument Valley, ci dirigiamo verso Page, avendo prenotato per la visita all’Antelope Canyon.
Su consiglio di amici ci dirigiamo verso l’Horseshoe Bend (appena fuori Page – ampio parcheggio con breve sentiero, all’inizio in salita) dove il Colorado River crea nel suo percorso diverse anse, la più spettacolare delle quali è a forma di zoccolo di cavallo (da qui il nome del sito), sicuramente più belle di quelle del Goosenecks State Park viste ieri. A Page cena Texana (anche se siamo nello Utha) al Big John Texas BBQ: sotto la pensilina di ex distributore di benzina, ambiente informale, complessino di musica country, tanta birra (è evidente che non è gestito da navajo) e squisite costine al BBQ che si scioglievano in bocca. Pernottamento al Motel 6 di Page.
Nota1: il percorso nella Valley è alquanto accidentato ma percorribile con qualsiasi mezzo (certamente andando piano e con attenzione).
Noi eravamo in 4 su un suv (ma non 4×4) e non abbiamo avuto nessun problema. Ci sono anche le visite guidate ma c’è da tener conto, oltre che del costo, anche del fatto che sono di breve durata (90′, noi ci siamo stati il doppio) e che vengono effettuate con camioncini scoperti e che, quindi, la scorpacciata di polvere rossa è assicurata.
Nota2:a Page abbiamo avuto difficoltà a trovare una stanza con 4 letti; tutti i siti di prenotazione proponevano 2 stanze da 2
24 agosto Antelope Canyon – Grand Canyon NP (South Rim) 174 miglia
L’appuntamento, per visitare l’Antelope è alle 10, a Page, presso la sede della Lake Powell Blu (una delle tante compagnie che effettuano le visite guidate al canyon), con la quale avevamo prenotato, ovviamente online, fin da marzo. Spettacolo di danza indiana davanti alla sede, poi in marcia verso il canyon a bordo di furgoni scoperti 4×4. Arrivati sul posto si procede a piedi e il tour dura circa 40′ ed è molto affascinante; la luce che penetra fa strani riflessi sulle pareti contorte e percorse da numerose e leggere solcature e, anche se dal vivo sembrano grigie, in fotografia mostrano un caleidoscopio di colori.
Purtroppo la gente è tanta e fare belle foto è estremamente difficile, anche se in alcuni momenti, come quando si arriva, quasi alla fine del percorso, al punto in cui il fascio di luce entra perpendicolarmente, gli accompagnatori fermano il gruppo permettendo di fotografare. Ci sono vari turni e quello migliore è quello che permette di stare all’interno del canyon, almeno verso l’inizio o la fine della visita, quando il sole è perpendicolare, cioè dalle 11,30 alle 12,30. Alle 12 siamo di nuovo alla sede della compagnia.
Fa caldo lungo la strada del Grand Canyon, nonostante che siamo a 5000 ft (oltre 1500 m) la temperatura è di 100°F (37° C); il paesaggio è desertico, quasi lunare. Entriamo da est, sulla Desert Wiew (strada percorribile dalle auto private) e arriviamo a Tusayan, uscendo dall’ingresso sud, fermandoci in un paio di punti per ammirare il panorama.
Fatto il check-in in albergo, rientriamo nel parco tornando al Grandview Point per vedere il tramonto (veramente il punto più adatto per ciò sarebbe il Lipan Point, ma è troppo lontano e arriveremo a tramonto terminato), ma è brutto tempo (ed infatti l’indomani ci sarà un temporale). Pernottamento a Tusayan, al Best western Premier Grand Canyon.
Nota: per l’Antelope Canyon quasi tutte le compagnie effettuano anche speciali tour fotografici, di costo e durata maggiore (e, probabilmente con meno calca).
25 agosto Grand Canyon NP (South Rim) 101 miglia
Facciamo il percorso, lungo la Hermit Road, servito dalla navetta rossa (interdetto ai veicoli privati) facendo, su consiglio della Lonely Planet, tre (Hopi Point, Mohave Point e Pima Point) delle nove soste che tale navetta effettua in prossimità di altrettanti punti di osservazione. Per arrivare a prendere la navetta rossa, dal Visitor Center, si può prendere la navetta azzurra.
In realtà il panorama non cambia molto da punto a punto. Il Grand Canyon è maestoso, ma non ci suscita quell’entusiasmo che abbiamo provato per altri siti (ad esempio: Yellowstone o Bryce). Certamente facendo percorsi trekking (che durano più di un giorno) scendendo al fiume a piedi o a dorso a dorso di mulo o effettuando il giro in elicottero, la fruizione del canyon sarebbe stata più intensa ma abbiamo scartato i primi per questioni anagrafiche di due di noi (la pendenza è notevole) e la seconda per esplicito rifiuto di Stefania di salire su un “coso” che reputa poco sicuro. Arriva il temporale e la temperatura precipita a circa 14-15°C.
Visitiamo il Museo Geologico al Yavapai Point poi usciamo dal parco puntando verso Flagstaff, dove abbiamo prenotato l’albergo, percorrendo la 180, una strada molto bella che attraversa una foresta a oltre 3400 m di altezza (foresta di Coconino). A Flagstaff, dove pernottiamo al Country Suite & Inn, ci aspetta un altro temporale.
26 agosto Route 66 290 miglia
La vecchia e storica Route 66 è stata inglobata nella moderna Interstate 40, tranne un tratto che è rimasto come un tempo e che va da Seligman a Topock, passando Kingman e Oatman. In questo tratto, lontano dalla grande arteria, la Interstate 40, che da Chicago porta a Los Angeles, sembra che il tempo si sia fermato (nel secondo tratto, da Kingman a Oatman, ancor di più), anche se non si sa se tale atmosfera, tra il trasandato e il nostalgico, sia reale o ad uso turistico.
A Seligman negozi vari di souvenir, tutti con arredi, poster, riproduzioni di insegne, rigorosamente anni ’50, come le vecchie auto lasciate abbandonate ovunque, comprese quelle che hanno ispirato i personaggi di “Cars” (che proprio qui è ambientato). Singolare il negozio di un vecchissimo e leggendario barbiere, Angel Delgadillo, uno dei personaggi più pittoreschi della Route, che accoglieva i viaggiatori nella sua bottega anni ’50, trasformata ora in bazar (non sappiamo se il barbiere è ancora vivo – la barberia è diventata una specie di museo).
Fa molto caldo (37°C) quando iniziamo, a Seligman, il percorso storico della Route 66 e, lungo la strada, non potevamo non fermarci all’Hackberry General Store, una vecchia stazione di servizio trasformata in un museo di pompe di benzina e insegne anni ’50, nonché store di gadget vari. Proseguiamo, incrociando la I40 a Kingman, fino a Oatman, paesino simpatico che ha saputo riciclarsi, una volta che la costruzione della grande arteria lo ha emarginato dalle rotte commerciali, in una attrazione turistica con negozi di artigianato vario, strani e improbabili personaggi e molti asinelli che vagano per le vie. Con la I-40 ritorniamo a Kingman dove pernottiamo al Best Western Plus King’s Inn & Suites.
27 agosto San Diego 404 miglia
Partenza per San Diego con la I-40. La strada, è diritta e molto larga ma con limite a 75 mph; il panorama è desertico. Inizialmente si notano, in lontananza delle montagne (The Needles) poi l’ambiente diventa ancora più desertico (regione del Mojave Desert) e le montagne sempre più lontane. A Newberry usciamo per andare a vedere il Bagdad Cafè (location dell’omonimo film) che, in fondo, è poco più di una casupola in legno dove molti fotografano ma pochi consumano anche perché non è che ci siamo molte cose da consumare (sarà finanziato dall’apposito ente per il turismo??).
Lungo la strada corre la Santa Fé Railroad su cui viaggiano lentamente kilometrici treni portacontainer. Data la distanza da coprire arriviamo a San Diego abbastanza tardi e visitiamo solo il Seaport Village e Gaslamp Quarter, andando poi a cena al famoso (meritatamente) Phil’s BBQ. Poca fila (siamo stati fortunati perché Andrea, lo scorso anno, ne ha incontrata una molto lunga) e ottime ribs americane cotte al bbq.
28 agosto San Diego 96 miglia
In mattinata visita al Point Loma NP con il Monumento a Juan Rodriguez Cabrillo (esploratore che approdò nella Baia di San Diego nel 1542). Visita al faro dismesso, diventato museo con vista su San Diego; poi, lungo la costa per La Jolla, con colonie di uccelli e leoni marini. San Diego è una bella città, ben tenuta, vivace ma ordinata, molto diversa dalla caotica e chiassosa vicina Los Angeles.
Pomeriggio di relax sulla enorme spiaggia del Coronado. Al centro del grazioso Seaport village, oltre a vari ristoranti e negozi, c’è una piazzetta alberata con tavolini e panche in maiolica dove poter mangiare i cibi che si prendono nei chioschi di vivande take-away che contornano la piazzetta stessa.
29 agosto Da San Diego a Los Angeles (Silver Lake) 166 miglia
Il traffico nel tratto San Diego – Los Angeles (120 miglia) è semplicemente pazzesco: arriviamo a Los Angeles in tarda mattinata. Gironzoliamo per il quartiere di Silver Lake (ma non ne valeva la pena) dirigendoci, dopo un frugale pasto e check-in in albergo, a Venice Beach.
La spiaggia è bella, larga e lunga, ma la strada che la costeggia, iperaffollata, è strapiena di negozi di orrende cianfrusaglie.
30 agosto Los Angeles 81 miglia
Partiti Agnese e Andrea, dedichiamo l’ultima giornata intera negli USA (calda, solo la sera rinfrescherà) al Getty Museum. Gran bel museo, con interessanti opere, alcune imperdibili, come gli Iris di Van Gogh. Anche la struttura stessa del museo è notevole, sia per la sua architettura che per la vista su Los Angeles. Usciti dal museo torniamo in albergo facendo un giro per Beverly Hills.
Nota1: per il Getty Museum prendere l’uscita 59 della 405 Nord, che porta all’apposito parcheggio per i visitatori, seguendo le indicazioni. Da tale parcheggio un trenino a cremagliera porta all’entrata del museo.
Nota2: si paga solo il parcheggio (15$ a vettura) e con tale biglietto è possibile visitare (nella stessa giornata) anche la Villa Getty che si trova a Malibù.
31 agosto Partenza per Roma
CONCLUSIONI
Una vacanza splendida e indimenticabile. Dei 14 Parchi Nazionali presi in considerazione, alcuni li abbiamo visitati a fondo, altri solo parzialmente; d’altronde anche se ci siamo stati 35 giorni, sono talmente tanti, vasti e lontani tra di loro che per una visita approfondita, compresi gli innumerevoli percorsi di trekking, ci vorrebbe almeno un anno.
A chi ha la possibilità di recarsi negli USA più di una volta e con meno anni sulle spalle (e ginocchia sane) daremmo il consiglio di vedere meno parchi per volta e farlo in maniera più approfondita, comprese le escursioni e i percorsi di trekking.
Il viaggio in numeri:
9 gli stati attraversati (New York, Colorado, South Dakota, Wyoming, Idaho, Utah, California, Nevada, Arizona);
18 i parchi visitati: 14 nazionali (Ellis Island e Statua della Libertà, Rocky Mountains, Yellowstone, Grand Teton, Yosemite, Sequoia, Death Valley, Zion, Bryce, Capitol Reef, Arches, Mesa Verde, Cabrillo), 2 statali (Custer e Gooseneck) e due della Comunità Navajo (Monument Valley e Antelope Canyon);
27 le strutture ricettive utilizzate (tra alberghi e motel);
7.947 i km percorsi in macchina.
NOTE
PREPARAZIONE DEL VIAGGIO
Documenti
Passaporto: necessario passaporto con microchip incorporato o a lettura ottica o con foto digitale, accompagnato dall’ESTA (Electronic System for Travel Authorization), in pratica un visto turistico, valido due anni, per un soggiorno non superiore a 90 giorni consecutivi (occorre avere anche il biglietto di ritorno e andare negli USA solo per turismo, altrimenti occorre il visto vero e proprio).
Patente internazionale: in alcuni stati è valida la patente italiana, in altri ci vuole anche la patente internazionale (tra quelli da noi attraversati: il Wyoming, l’Arizona, e New York). Per sicurezza, da più parti, consigliano di averla in ogni caso.
Alberghi
Abbiamo prenotato gli alberghi utilizzando due siti specializzati (Booking e Hotels) e lo abbiamo fatto con largo anticipo, prima di partire dall’Italia; quelli nelle adiacenze dei parchi addirittura 5 mesi prima. Questa accortezza è necessaria vista l’enorme affluenza nei parchi, infatti in molti di essi abbiamo trovato, al nostro arrivo, tutte le strutture ricettive al completo. Certamente questo implica, nella preparazione del viaggio, un’attenta pianificazione circa ciò che si vuole vedere, dei tempi da dedicare ad ogni cosa che interessa e dei tempi di percorrenza in auto (tenendo conto dei limiti di velocità che, negli USA, sono molto bassi).
Un altro motivo per prenotare prima è dato dall’enorme differenza di prezzo che c’è tra alberghi (o motel) molto simili per categoria e servizi. Con Booking o Hotels si ha la possibilità di comparare le offerte e scegliere quella con il miglior rapporto qualità/prezzo, di sapere le caratteristiche della stanza e i servizi offerti. Tra questi ultimi, importanti erano (almeno per noi), avere in camera un frigo e, possibilmente, forno a microonde, per poter consumare anche frugali cene in camera e non essere sempre costretti ad andare al ristorante (per la tasca e per la linea, considerando, anche, la lunghezza del viaggio).
Parametro da tener presente, anche se non determinante nella scelta, avere la colazione (spesso sia continentale che americana). Importante è scegliere stanze che possono essere disdette fino a pochi giorni prima (a volte anche un giorno prima), nel caso di variazioni di programma. In alcuni momenti del viaggio non eravamo sicuri di dove potevamo arrivare e, quindi, dormire: in questi casi abbiamo prenotato, un giorno per l’altro (sempre online e sempre con i siti citati). La nostra esperienza ci porta a sconsigliare di arrivare la sera in un posto senza aver prenotato: nelle tappe di trasferimento verso Yellowstone, non sapendo dove potevamo arrivare, non avevamo prenotato e, arrivati a Hot Springs, stanchi, decidiamo di fermarci.
Nel primo motel incontrato (Baymont Inn & Suites) ci dicono di avere solo una camera per 4 persone a 176 $ (cara per il livello della struttura e inutilmente capiente perchè eravano in 2). Ovviamente non potevamo metterci a girare tutti gli alberghi della città per poter scegliere e abbiamo dovuto accettare. La sera stessa, controllando sul sito dell’albergo abbiamo visto che lo stesso aveva stanze per due a circa 90$. Inutile dire che abbiamo evitato di far presente ciò anche per la difficoltà di intavolare una discussione (conosciamo l’inglese ma quello parlato in alcuni posti negli USA è un’altra lingua).
Strana, ma fino ad un certo punto, la scelta degli alberghi di Las Vegas: nel Flamingo Las Vegas Hotel & Casino, tre stelle, 28 piani, centinaia di stanze, abbiamo pagato 63$, compresi 25$ di tariffa resort (obbligatoria) per ogni suite con grande camera da letto (per due persone), salone con zona pranzo, zona salotto e zona colazione più 2 bagni. Il motivo di questa apparente stranezza sta nel fatto che tali prezzi servono ad accalappiare turisti per spennarli nei Casinò (ogni albergo ne ha uno e sono enormi); con noi hanno avuto poca fortuna visto che detestiamo il gioco d’azzardo.
I costi oscillano molto anche a parità di livello e per lo stesso luogo, pertanto, ripetiamo, è importante comparare utilizzando i siti citati; tra i due abbiamo constatato come il più efficace sia senz’altro Hotels, per tre fondamentali motivi:
1. i prezzi sono comprensivi delle varie tasse vigenti che sono diverse da stato a stato, evitando così di dover ogni volta calcolare;
2. che quando si paga alla prenotazione in euro si evitano i costi di commissione;
3. che dopo 10 notti consumate, l’11a è gratis (la notte gratuita deve costare non più della media dei prezzi pagati nelle 10 notti che hanno generato tale “benefit”, in caso costasse di più si paga la differenza). Noi abbiamo usufruito per due volte di questa opportunità.
In ogni caso, sia Booking che Hotels, in caso di cancellazione, sono velocissimi nella restituzione delle somme già pagate.
Le strutture ricettive USA (sia gli alberghi sia i motel) hanno due caratteristiche che abbiamo trovato molto comode. La prima è che in quasi tutte sono presenti stanze per quattro persone (adulte) con un leggero sovraprezzo rispetto a quelle per due persone (comodità che abbiamo spesso sfruttato nella seconda parte del viaggio quando ci hanno raggiunto i due figli).
La seconda è la presenza, sempre, di una o più macchine produttrici di ghiaccio (e nelle camere c’è sempre un cestello con bustina di plastica per prenderlo); questo perché gli americani usano mettere, nelle già ghiacciate bibite, una quantità enorme di ghiaccio e tali macchine sono dappertutto: negli alberghi e nei motel (gratuitamente) ma anche, per pochi spiccioli, nei distributori di carburanti e supermercati. La maggior parte dei motel ha, di contro, una caratteristica negativa: le stanze hanno ingressi (e finestra) con accesso diretto dalla strada o su cortili comunque non chiusi; anche gli ingressi (e finestre) delle stanze al primo piano (negli USA è chiamato secondo piano, perché quello che per noi è il piano terreno, per loro è il primo piano) danno su un ballatoio collegato con scale che terminano nei suddetti cortili.
In definitiva si accede alle camere (e quindi alle finestre) senza passare per nessun filtro o controllo, pertanto è necessario, per ragioni di sicurezza, dormire sempre con le finestre chiuse (in alcuni sono bloccate) e, quindi, viste le temperature (specialmente nel sud), con l’aria condizionata (quasi sempre abbastanza rumorosa), a meno che non si capiti in motel con sbarre alle finestre.
I letti (almeno nei 27 tra alberghi e motel da noi utilizzati) sono molto larghi ma stranamente corti (non più di 1,80 m). Inoltre in quasi tutti abbiamo trovato lenzuola cortissime, che non arrivavano neppure al cuscino (spesso abbondantemente al di sotto).
Prenotazione della macchina.
Abbiamo prenotato tre volte la macchina con tre diverse compagnie (Thrifty – Budget e Dollar), sempre prima di partire dall’Italia e sempre online tramite il sito Rentalcars.com. Le macchine (con l’assicurazione, sia RCA che kasko) si pagano all’atto della prenotazione e, nella maggior parte dei casi, non è prevista l’assistenza stradale (per cui occorre farla aggiungere); anche le tasse non sono comprese nella prenotazione e si pagano in loco.
Nella maggior parte dei casi, qualora non si riconsegni l’auto nella stessa località di ritiro, occorre pagare una tariffa commisurata alla distanza del luogo di riconsegna (one way fee): noi abbiamo pagato 300$ per l’auto presa a Denver e riconsegnata a Salt Lake City. Non è detto che la macchina che troverete sia quella che avete prenotato, può essere (come scritto in piccolo accanto ai vari modelli) una equivalente e state certi che sarà proprio quella, cioè l’equivalente, assai più modesta. Ovviamente tenteranno di farvi prendere, con sovraprezzo, una più grande. Le modalità riguardanti il carburante variano a seconda della compagnia: valutare caso per caso quando si firma il contratto se scegliere di riconsegnare la macchina con il serbatoio pieno (effettuato non oltre le 8 miglia dalla riconsegna) o meno.
Se si sceglie la prima opzione attenzione perché fare il pieno non è facile per un non residente negli USA (vedi STRADE E CARBURANTI).
DOGANA
Gli oggetti non classificati come souvenir (abbigliamento, CD, elettroniche, …) dovrebbero pagare il dazio per essere esportati. Il condizionale è d’obbligo perché raramente il personale che controlla i bagagli ci fa caso; ma, per premunirsi contro un controllore “pignolo” è meglio far in modo da sembrare “portati da casa”, ad esempio togliendo le etichette, compresa quella del prezzo, per i capi d’abbigliamento, o, l’imballo per le elettroniche. In teoria, per le elettroniche portate dall’Italia (fotocamera, tablet, PC, …) si dovrebbe portare appresso la fattura di acquisto; se la si ha meglio portarla, non si sa mai.
Ricordarsi che negli USA i bagagli che vanno in stiva negli aerei possono essere aperti dal personale di sicurezza, tant’è che detti bagagli debbono essere muniti di lucchetto omologato per gli USA (TSA), munito cioè di un sistema che permette al suddetto personale di aprirlo. In caso di lucchetto non da loro apribile sono legalmente autorizzati a spaccarlo per ispezionare il bagaglio.
Le ispezioni all’aeroporto sono, com’è noto, molto pignole ed estenuanti; chi scrive ha dovuto subire una super-ispezione a causa di un metal detector troppo sensibile che suonava nonostante non avessi nulla di metallico addosso (a meno che non percepisse il metallo, penso titanio, della protesi metallica al ginocchio).
COSTI
Si paga ovunque e per qualsiasi importo (anche pochi centesimi) con la carta di credito. Solo in un caso ci è stato chiesto di digitare il PIN, in altri casi di firmare elettronicamente; nei supermercati ci è stato chiesto un documento di identità solo in caso di acquisto di alcolici; la maggior parte delle volte la carta viene “strisciata” e basta. A proposito di alcolici, molto spesso, questi (birra compresa), non vengono venduti nei supermercati, ma in altre strutture adiacenti.
Nei ristoranti la prassi è di pagare con la carta dandola al cameriere che ve la riporta assieme al conto saldato ma con ancora da inserire la mancia (da scegliere tra tre opzioni: 10-15-20%): è evidente che la transazione rimane aperta per consentire di inserire un importo diverso (comprensivo della mancia) successivamente. Questa è la prassi osservata ovunque, ma a noi è sembrata molto pericolosa.
Il costo della vita negli USA (per un turista italiano nel 2015) non è cara, diciamo, in media, come in Italia (almeno come a Roma); alcune cose (carne, abbigliamento, …..) costano meno e sono di ottima qualità. Certamente fino a due anni fa, con il dollaro a 0,75€, era un’altra cosa (conosciamo gente che partiva con la valigia vuota e si approvvigionava di capi d’abbigliamento, specie negli outlet attorno a New York o in California), ma nell’estate 2015 oscillava, purtroppo, intorno a 0,92€, raggiungendo, a volte, quasi la parità.
Nelle grandi città convenienti i “Pass” sia per i trasporti che per musei e attrazioni varie.
La mancia è un’istituzione sacra negli States, si richiede ovunque, non solo nei ristoranti, come detto sopra, o negli alberghi (spesso troverete in camera una busta dove mettere la mancia per l’addetto/a alle pulizie), ma anche in altri frangenti (ad esempio per conducenti dei bus-navetta)
Convenientissima la tessera annuale (Annual Pass) valida per tutti i parchi nazionali (NP), in pratica per tutti quelli da noi visitati tranne il Custer e il Dead Horse Point (statali), Monument Valley e Antelope Canyon (questi ultimi due gestiti dalla comunità Navajo). Di questi non compresi riportiamo, nel diario, il prezzo del biglietto che non è “a persona” ma “a vettura”, con max 4 persone. L’Annual Pass si fa in ogni Visitor Center o direttamente all’ingresso di ogni parco e costa 80$ e, considerando che l’entrata nei parchi costa 20$ (anche in questo caso a macchina con max 4 persone) la convenienza è evidente. Noi, solo con le 5 entrate a Yellowstone-Grand Teton (il nostro albergo era esterno al parco), ce lo siamo ampiamente ripagato, senza considerare gli altri 12 parchi nazionali (senza la tessera avremmo speso più di 300$). La tessera deve essere esibita all’entrata ai parchi unitamente ad un documento di uno dei due titolari della tessera stessa.
TEMPO E TEMPERATURE
Abbiamo trovato, generalmente, bel tempo e temperature abbastanza elevate. In montagna, anche a quote superiori ai 3000 m, se la mattina e la sera è necessaria una felpa, di giorno fa caldo, ma sempre gradevole anche se il sole picchia e ti abbronza. A NY se è sereno il sole si fa sentire ma il caldo è mitigato da una ventilazione costante e, in definitiva, non è un clima sgradevole; diversamente, se nuvoloso, l’afa diventa pesante. A San Francisco (ad inizio agosto) abbiamo girato sempre con una leggera felpa, complice anche una costante ventilazione.
A Los Angeles, e in tutti i parchi località del sud-ovest, abbastanza caldo, con record nella Death Valley (50°C). Comunque, anche in zone e periodi caldi, è consigliabile, se si deve entrare in posti al chiuso (negozi, ristoranti, musei e attrazioni varie), portarsi appresso una felpa perché gli americani amano l’aria condizionata e la usano sempre “a palla” anche quando fa fresco.
CIBO (ristoranti – negozi)
Ovviamente, vista l’ottima qualità della carne quando dovevamo cenare al ristorante abbiamo scelto quasi sempre delle steakhouse; o in alternativa, ristoranti etnici: ottimi quelli messicani, molto diffusi, e anche quelli orientali. A pranzo, durante i giri per le città, abbiamo utilizzato i fastfood molto diffusi come Subway , Shake Shack, ….., in alcuni casi anche Mc Donald, anche se gli altri sono di qualità superiore. Un modo rapido e comodo, quando si è in giro per i parchi o nelle tappe di trasferimento, per poter pranzare con dei panini, è quello di acquistare nei supermercati una ghiacciaia di polistirolo espanso (da 2 a 7$) così, approfittando del fatto che in tutti gli alberghi si trova gratuitamente del ghiaccio (vedi PREPARAZIONE DEL VIAGGIO – Alberghi) è possibile conservare cibi per tutta la giornata, specialmente se messi nella ghiacciaia già freschi (ecco l’importanza del frigo in camera negli alberghi/motel).
Nei fastfood (alcuni sono aperti h24) per le bibite (sempre analcoliche, tipo Coca Cola, Fanta e similari) vige la regola del refill, pertanto il classico bicchierone di bibita che viene consegnato vuoto alla cassa può essere riempito gratuitamente, quante volte si vuole. Gli americani usano riempirlo un’ultima volta, finito il pasto, e portarselo in macchina (notare come le versioni USA di tutte le macchine hanno un supporto porta-bicchierone per ogni passeggero (guidatore compreso).
Per quanto riguarda negozi e supermercati, molti chiudono tardi (anche alle ore 21 o 22), molti sono h24. Viaggiare è conoscere e ciò vale anche per il cibo, però, specie in viaggi così lunghi, ad un certo punto la voglia di un piatto di spaghetti è cosa normale. A New York in molti market (come da Zabar’s ma anche in negozi più piccoli) abbiamo trovato molti prodotti italiani (non abbiamo appurato se ciò e possibile in altre città). Nell’acquistare prodotti alimentari occorre fare attenzione alle diverse unità di misura usate negli USA: il prezzo degli alimenti solidi (come frutta, verdura, pane,…) quando non sono venduti per unità (ananas,…), è espresso in dollari per libbra ($/lb) dove 1 lb = 0,454 g.
I prodotti confezionati in Italia e importati hanno le misure italiane (ad esempio: la passata Pomì è da 500 g); quelli confezionati su licenza negli USA hanno le misure americane (ad esempio: la pasta Barilla era da 1 lb cioè 454 g invece di 500 g). La stessa cosa vale per i liquidi venduti a libbre liquide o a galloni (vedere UNITÀ DI MISURA)
INFORMAZIONI SANITARIE
Assolutamente indispensabile un’assicurazione sanitaria. Negli USA non esiste ancora (Obama ci sta provando) una sanità pubblica e, sentirsi male e necessitare di un ricovero o, semplicemente di una visita privata o al pronto soccorso, può costare cifre elevatissime.
Moltissimi medicinali sono venduti liberamente nei supermercati dove c’è, comunque, anche una farmacia per quelli che necessitano di prescrizione. A titolo informativo: chi scrive ha avuto bisogno di un farmaco ma non aveva la prescrizione, il farmacista me ne ha dato uno similare che non ne necessitava e che si è rivelato migliore di quello italiano.
STRADE E CARBURANTI
Le strade, anche quelle secondarie, sono quasi sempre molto larghe e, sempre, con un fondo perfetto; per questo ci sono sembrati, in alcuni casi, esageratamente “prudenti” i limiti di velocità che rendono, spesso anche a causa del panorama desertico, molto noiosa la guida.
Nel Colorado il pagamento dei pedaggi autostradali si effettua con un sistema simile al nostro Telepass (in vendita, ci sembra di capire, anche presso la stessa Thrifty); non dovendo, noi, percorrere autostrade e dovendo, l’indomani, uscire dal Colorado (negli altri stati il pagamento si effettua con carta di credito), non la acquistiamo e, anzi chiediamo alla ragazza che ci fa il contratto della macchina come uscire dall’aeroporto senza utilizzare autostrade. Le spiegazioni non sono affatto chiare e difatti imbocchiamo, inavvertitamente, l’autostrada con il risultato che i primi di settembre ci arriva la tariffa maggiorata (54$) a casa.
Se vedete una macchina della polizia stradale, con i lampeggianti accesi, che si accoda alla vostra macchina (non usano palette), accostarsi e attenersi a questa procedura:
1. non scendere dall’auto e abbassare il finestrino tenendo le mani sul volante;
2. aspettare che il poliziotto arrivi e vi chieda i documenti, dopodiché rimettere le mani sul volante e aspettare;
3. anche gli eventuali passeggeri non devono assolutamente scendere e rimanere al loro posto;
4. attendere, senza scendere, che il poliziotto ritorni.
Non sappiamo quale sia il resto della procedura perché a noi ci hanno solamente “ammonito” (avevamo superato di poco il limite) e tutto è finito lì.
La rete di distributori di carburanti è meno estesa e capillare rispetto a quella a cui siamo abituati in Italia. Forse una volta tali distributori erano più numerosi, infatti in molte cittadine e lungo molte strade abbiamo visto un numero enorme di impianti dismessi, abbandonati o riciclati per altro uso.
Normalmente si trovano solo nei centri abitati, pochi quelli lungo le lunghissime strade; anche sulle autostrade (almeno quelle da noi percorse) non esistono gli autogrill come sulle nostre, in compenso, abbondano le aree pic-nic con tavoli e wc (sempre puliti, attrezzati ed efficienti.)
I distributori hanno tre tipologie di carburanti (regular, medium e premium), noi abbiamo usato quasi sempre la regular e non abbiamo avuto problemi; non tutti i distributori hanno il diesel, rarissimi i distributori di GPL. Il prezzo della benzina variava, normalmente in tutti gli stati da noi attraversati (eccetto la California), dai 2,8$ a 3,4$ a gallone (1 gallone = 3,79 litri), ma in alcune zone (ad esempio nella Death Valley) il prezzo può arrivare a oltre 5$ a gallone. In California (stato più caro non solo per i carburanti) difficilmente scendeva al di sotto dei 4$ al gallone.
Abbastanza complicato, per i non americani, fare rifornimento di carburante. I distributori USA sono tutti self service e funzionano tutti con carta di credito (che ci sia o no il benzinaio), e fin qui tutto normale; il problema è che la maggior parte di essi richiede un “Zip Code” che, altro non è che il corrispondente USA del nostro Codice di Avviamento Postale e, ovviamente, un CAP italiano non può essere inserito; veramente rari sono gli impianti che non richiedono tale Zip Code e richiedono invece il PIN della vostra carta.
Pertanto l’unica soluzione è pagare in contanti (sempre che sia possibile e cioè se c’è il benzinaio); in questo caso occorre scendere e dare i soldi al cassiere, facendo una stima di quanta benzina ci può stare e arrotondare la cifra ai 10-20 dollari successivi. Il cassiere comanda a distanza da un gabbiotto, dialogando con il cliente tramite un microfono e scambiando i soldi tramite un cassetto mobile; a volte, invece, il cassiere sta dentro l’adiacente piccolo market, aperto di solito 24 ore su 24. Indicata al cassiere il numero della pompa, questi abiliterà la stessa ad erogare la quantità di carburante pagata.
Una volta selezionato quale carburante prendere (regular, medium e premium), premendo uno dei pulsanti estrarre la pistola e rifornire. In alcuni vecchi tipo di pompa, non esiste il pulsante per selezionare il tipo di benzina; in queste pompe bisogna prendere la pistola e poi sollevare verso l’alto la base su cui essa normalmente sta appoggiata. Se alla fine non ci sta tutta la benzina pagata (capita se si vuole fare il pieno), tornare dal cassiere per avere il resto.
Purtroppo in alcuni casi questa procedura non è possibile perche i gestori non accettano di dare il resto; in tal caso non rimane che fare una stima in difetto del carburante da immettere; ovviamente, in questo caso, è impossibile fare il pieno e ciò può dare problemi se si è pattuito di restituire, al rent car, la macchina con il pieno. Solo un paio di volte ci è stato possibile fare il pieno con un’altra procedura (che a noi sembrava la più ovvia), cioè dando la carta al cassiere, fare benzina, tornare dal cassiere e pagare.
Considerare che il tubo delle pompe americane è molto più corto di quello delle nostre, per cui è obbligatorio fermarsi con il tappo del serbatoio dal lato della pompa e proprio davanti ad essa.
ALBERGHI UTILIZZATI
UNITÀ DI MISURA IN USO NEGLI U.S.A.
Unità di peso
1 oncia (ounce, oz) = 28 g
1 libbra (pound, lb) = 454 g
Unità di volume
1 oncia liquida (fluid once, fl oz) = 29,6 ml
1 pinta (pint, pt) = 473 ml
1 gallone (gallon, gal) = 3,79 l
Unità di lunghezza
1 pollice (inch, in) = 25,4 mm
1 piede (foot, ft) = 0,305 m
1 iarda (yard, yd) = 0,914 m
1 miglio (mile, mi)= 1,609 km
Conversione gradi centigradi (°C) in gradi Fahrenheit (°F)
°C = °F-32×5/9
Equipaggio: Maurizio (68 anni) – Stefania (63 anni) – Agnese (35 anni) – Andrea (29 anni)
FUSI ORARI
ORA LEGALE:
Tutti gli Stati, eccezion fatta per l’Arizona, Hawaii, Porto Rico, Isole Vergini, Guam, Isole Marianne Settentrionali, American Samoa, osservano l’ora legale (daylight saving time o DST); entra in vigore la seconda domenica di marzo mentre l’orario solare torna la prima domenica di novembre. Per quanto riguarda l’Arizona, i territori Navajo si distinguono dal resto dello Stato poiché utilizzano l’ora legale.
Ma i veri viaggiatori partono per partire e basta: cuori lievi, simili a palloncini che solo il caso muove eternamente, dicono sempre “Andiamo”, e non sanno perchè. I loro desideri hanno le forme delle nuvole.
(Charles Baudelaire)