Riceviamo e pubblichiamo con grande piacere questo bel diario composto nel corso di un viaggio in Myanmar dal nostro amico Cristian (che ringraziamo anche per le bellissime fotografie). Buona lettura!
Finalmente si riparte. Ogni viaggio comincia mentalmente settimane prima, ed è con l’acquisto del biglietto aereo che concretamente faccio un programma. Di solito sono molto pigro e tendo sempre a rimandare le cose, ma quando si tratta di un viaggio ho come un sussulto e inizio ad abbozzare su un foglio le tappe principali, secondo le informazioni raccolte da racconti e video di altri viaggiatori. Devo sempre partire da un’idea generale. per prima cosa disegno una mappa e da lì parte tutto. Dopo la mappa si passa agli spostamenti più lunghi e al visto per il paese. Questa volta prenoto prima del solito, già a Novembre, e l’attesa è ancora più lunga. Nel periodo di natale sono totalmente preso dal viaggio e ci penso continuamente.
Il 7 gennaio mi sveglio molto presto di mattina, ho voglia di fare una lunga colazione per essere in forma all’arrivo. Non voglio trovarmi stravolto a Bangkok e perdere la prima giornata inutilmente, cercando di trascinarmi lungo la città. Nonostante stia fuori per un mese sento che per quel tipo di viaggio sia ancora troppo poco tempo e per il prossimo anno vorrei viaggiare più a lungo. Da queste considerazioni la voglia di non sprecare neppure una giornata sin dall’arrivo. Mi avvio da casa per prendere il treno e puntualissimo sono in aeroporto, dove ho tantissimo tempo. Sono contentissimo e ho una bellissima sensazione quando sono in partenza, sistemo le ultime cose e con calma vado al check in pieno di energia positiva, la stessa adrenalina che provo quando atterro in un nuovo paese.. Il primo volo è per Istanbul e ancora giorno e voglio resistere fino a sera e prendere il ritmo del sonno. Parlo con il signore seduto vicino a me e passiamo il tempo. E un italiano e passiamo il viaggio a chiacchierare. Farà scalo a Istanbul per andare in Camerun, dove gestisce un ristorante italiano. Arriviamo a Istanbul e l’aeroporto nuovo e così grande che ci vuole molto per raggiungere il nostro terminal di sbarco.
Per fortuna ho tanto tempo per il secondo volo e come al mio solito rimango seduto al mio posto e scendo per ultimo. Passo qualche ora in aeroporto e cammino senza pausa tra i negozi. Ci si può collegare internet per 1 ora e utilizzo quello ora per qualche messaggio. Mangio qualcosa durante l’attesa e assaggio molti dolci al pistacchio e noci che offrono i venditori dei prodotti turchi. Il secondo volo è pieno e vicino a me si siede un turco. “sei turco?” mi chiede.
Mi viene da ridere perché capita spesso che mi prendano per turco, siriano o israeliano. Rispondo che sono italiano e mi dice qualche parola nella mia lingua. E socievole è mi chiede cosa conosco della Turchia. Aspettiamo lì pranzo che tarda ad arrivare e per passare il tempo ci diciamo quanto è buono il cibo in Turchia. Lui dice che a bordo hanno il vino turco, ma quando arriva la hostess io prendo la birra Efes, una birra che avevo già bevuto quando andavo in Turchia per lavoro. Qualunque cosa portavano per il mio vicino di posto era buona e la migliore del mondo solo per il fatto di essere turca. Siamo tutti campanilisti, chi più chi meno.
Arriviamo a Bangkok in anticipo e guadagno un po’ più di tempo e vado veloce al controllo passaporti. Faccio tutto velocemente e ne approfitto per rinfrescarmi.
Lo zaino arriva puntuale e vado fuori per prendere i mezzi verso il centro. La prima cosa da fare è andare alla grande stazione dei bus, trovare un biglietto per la sera e andare subito verso il confine, a Mae Sot. Prendo il treno dall’aeroporto verso la città e prendo una mappa dei mezzi pubblici. E molto semplice trovare la metropolitana e poi il bus per la stazione, verso il centro o le stazioni è tutto indicato molto bene, trovo un bus per le 21,30, quindi decido di prendere il biglietto e stare un po’ in citta. E’ ancora ora di pranzo e senza nessuna fretta prendo un bus che fa un giro di un’ora e poi torna in centro, mi siedo e mi godo un po’ dello stare seduto comodo a guardare la strade e i marciapiedi pieni di vita e movimento. Si sono fatte già le 14,30 e molta gente è ancora per strada a mangiare. Appena arrivo alla mia fermata cerco anch’io qualcosa. Prendo subito un po’ di frutta e passeggio per un viale con un sacchetto di anguria e uno di ananas. Continuo a passeggiare fino a fermarmi a fare un massaggio ai piedi per un’ora e mi sento meglio dopo tutto quel camminare con lo zaino addosso. Mi sento più riposato e più tardi i fermo di nuovo. E tardo pomeriggio e mi fermo in un posto dove ero già stato, e prendo un piatto di riso e verdure, poi uno spiedino di carne per strada. E quasi ora di andare verso la stazione e partire.
Appena salgo sul bus mi stendo. I posti sono comodi e ci sono pulsanti per reclinare il sedile e stendere le gambe. Mi danno una scatola con due snack ma non li mangio, metto subito la mascherina e i tappi per le orecchie, e dormo.
Durante il volo non ero riuscito a riposare tanto e ora recupero. Facciamo una fermata per usare il bagno e poi torno a dormire.
Arriviamo alle 5 del mattino e facilmente mi indirizzano verso un taxi che va verso la frontiera. Aspetto fino alle 6 che apra il confine e fa ancora un po’ di freddo. Non so cosa aspettarmi, ma il passaggio nel nuovo paese dura solo 5 minuti. Mostro il visto già stampato e mi mandano verso un altro ufficio dove fanno la foto per la polizia. Un signore si avvicina e mi aiuta a compilare un registro, che in realtà è un semplice quaderno con delle righe fatte a penna e su cui devo scrivere nome e nazionalità, e numero del passaporto. Lo stesso signore aspetta me e altri viaggiatori, tre ragazzi israeliani che stanno facendo anche loro la foto nello stesso ufficio. Non sembra un funzionario o un ufficiale ma un tassista che di buon mattino aspetta alla frontiera e si carica le prime persone che si dirigono verso Hpa An. Seguo gli altri tre e ci portano a cambiare i soldi da una signora. Nessun ufficio di cambio o banca, è una signora con un tavolo davanti casa sua, dove cambia dollari, vende schede telefoniche, caramelle e snack. Cambio pochi dollari per pagare il taxi, intorno ai 4 euro, e saliamo in macchina, mentre un gruppo di piccoli monaci passa per raccogliere le offerte. Quando stiamo per partire arrivano altri due viaggiatori. Comincio a parlare coi due nuovi arrivati, si tratta dell’inglese George e Zeb dalla Repubblica ceca. Stanno per visitare anche loro Hpa An e ci diamo appuntamento per mangiare insieme qualcosa e fare un programma per la giornata successiva. I primi chilometri sono lenti, non c’è praticamente una vera strada e per 2 ore siamo su uno sterrato con molte buche, e con autista buffo e divertente che parla con voce fortissima e rivolge parole e saluti quasi a tutti quelli per strada, una strada che probabilmente percorre tutti i giorni e su cui incontra spesso quelle persone. Per due volte ci fermiamo a dei varchi, dove con la sbarra abbassata ci guardano e ci controllano i passaporti. Tutto molto veloce. Sembra che per ogni stato in cui è divisa la Birmania ci sia un controllo e le persone che ci controllano sono dei ragazzi che non indossano neanche una divisa e sembrano semplici cittadini che fanno quello per lavoro, e ci segnano su dei grossi registri, tutti scritti a penna, nessun computer, nessun timbro. Arriviamo a Hpa An con molta fame e dopo un’ora dall’arrivo in ostello vado con i due nuovi conoscenti a mangiare in un ristorante suggerito dal tassista. Molti locali mangiano lì e infatti è molto buono. Tutti e tre prendiamo del pollo piccante, ma automaticamente a centro tavola mettono una ciotola di riso, della zuppa e diverse salse, che non sappiamo neanche cosa siano.
Alcune proviamo ad annusare e sanno di pesce lasciato a marcire e non le proviamo, tranne quella col peperoncino, che mettiamo in un po’ di brodo.
Paghiamo il pasto per poco più di un euro e andiamo a riposare. Metto la sveglia per un’ora ma rimango a dormire un po’ di più, dovevo recuperare. Ero troppo stanco e verso le 17 mi alzo ed esco, giusto in tempo per il tramonto.
Vado verso il mercato notturno sul fiume, ed è bellissimo il calar del sole. Oltre ai colori del tramonto c’è ovviamente anche il fiume che scorre verso sud,verso sinistra, e l’altra sponda a circa 100 metri. Il paesaggio è ricco di verde e le case non sono alte. Quello che appare sull’altro lato è una sponda molto naturale con pochissime costruzioni. L’area è una enorme pianura su cui spiccano dei picchi montuosi molto ripidi, quasi come torri per quanto sono stretti e alti, e su quasi tutte quelle alture sono state costruite delle pagode. Le pagode sono quegli edifici costruiti come una torre e destinati a scopi religiosi, oppure per ospitare reliquie sacre. Mi fermo a godermi il tramonto fino a quando non comincia a fare buio. Guardo intorno e incontro i miei amici. Il mercato notturno è una delle cose migliori del sud est asiatico, si trova da mangiare quasi ogni cosa, il prezzo è economico e anche molti locali ci vanno a mangiare. In generale in questi Paesi la maggioranza delle persone mangia per strada visto che vivono spesso in case o baracche molto piccole in cui non sempre si cucina facilmente e visto anche il prezzo irrisorio, probabilmente anche meno di quello che chiedono a noi stranieri. La nostra cena è con dei Noodles e poi in andiamo verso un bar cercando una birra, che nel mercato non vendono. Il barista non ha birra ma la va a prendere da qualche parte lì vicino e ce la porta, così parliamo di cosa fare il giorno dopo. I miei amici, al mercato, avevano incontrato due ragazze olandesi che avevano proposto di unirsi a un tour, e a noi va di andare in loro compagnia. Ci uniamo a loro decidiamo di prendere gli scooter il giorno dopo.
La mattina a Hpa An inizia presto con una colazione abbondante in ostello, con toast, caffè, riso e frutta. Alle 8,30 andiamo al nostro appuntamento e partiamo in 5 con un tuk tuk. Le due ragazze olandesi sono due sorelle molto simpatiche. Credo sia stata una buona idea andare con loro. Facciamo un bel tratto di strada dove non notiamo nulla di importante, fino ad arrivare a una delle grotte previste dalla visita. Enormi portali e statue colorate si trovano all’entrata e sulle barriere dell’area sacra. Una pagoda piccola si trova sulla sinistra mentre davanti a noi c’è una grotta enorme.
Passiamo nella grotta e la statua più grande di Buddha si trova distesa sul fianco e sulla roccia all’interno sono scolpite centinaia di facce di Buddha color mattone. Rimaniamo un po’ dentro per qualche foto e poi passeggiamo oltre la grotta, lungo la strada dove si trovano 140 statue di monaci, tutti a grandezza naturale. Portano verso la campagna. Camminiamo per un tratto e poi le statue finiscono e capiamo che non c’è altro da vedere.
Torniamo dal nostro autista e quando ripartiamo il paesaggio diventa molto più bello e percorriamo lunghi tratti a fianco a delle risaie. L’autista cerca di farsi capire in inglese e tutte le volte che non capisce scoppia in una risata. E praticamente capisce meno della metà delle cose che cerchiamo di chiedergli quindi sta quasi tutto il tempo a ridere. La cosa sarebbe carina se non fosse che la sua bocca è per metà marrone, a causa dell’abitudine locale di masticare sempre il betel, delle foglie di tabacco. Mentre la masticano la bocca è rossa come se fosse piena di sangue, e col passare del tempo rimane marrone sui denti e nel resto della bocca e non è un bel vedere. Il betel è una foglia, e la sua masticazione provoca molta salivazione, così spesso gli uomini birmani e qualche volta anche le donne che la masticano sputano per strada in modo molto rumoroso e disgustoso. In ogni strada di ogni città birmana c’è qualcuno che la vende. Uno dei ragazzi la prova ma la sputa quasi subito. A me non interessa e la rifiuto.
Proseguiamo verso le altre grotte, ci piacciono, e ci sono degli angoli in cui le stalattiti e le stalagmiti hanno delle forme che fanno pensare a delle figure umane e, un po’ per la poca luce, si ha quasi l’impressione di vedere un presepe. Tra le varie visite l’autista ci porta a mangiare in un posto sotto la montagna Zwekabin, dove abbiamo pianificato di andare il giorno successivo. Il cibo è buono anche qui e ci fermiamo a chiacchierare tanto, stando seduti e riprendendo le forze dopo i chilometri del mattino. Alzandosi da tavola ci sentiamo assonnati, forse anche per colpa della birra e del sole,il posto non ha
nulla di speciale e torniamo al tuk tuk.
Andiamo verso la quinta grotta e ci rendiamo conto che con tutto il tempo passato a pranzo abbiamo molto ritardo, ma la visitiamo comunque, ed è particolare il posto, perché si trova al centro di un piccolo lago su una roccia larga circa 10 metri, sulla cui cima hanno costruito uno stupa, ovviamente dorato. La vista è bella e terminiamo la visita stanchi ma contenti.
Le ragazze devono partire quella stessa sera e quindi per non fare rischiare di perdere l’autobus saltiamo le ultime due tappe, promettendo di andarci il giorno successivo in scooter. Torniamo in città, salutiamo le ragazze e noi tre ci diamo appuntamento per cena. Io voglio approfittarne per vedere il tramonto sul fiume e vado direttamente li.
Anche quella sera mangiamo al mercato notturno, ci andiamo con altri ragazzi tedeschi del nostro ostello, di nuovo torniamo al solito bar che ci trova la birra e torniamo in ostello a dormire. La mattina seguente andiamo presto verso la montagna per salire in cima quando ancora non fa troppo caldo.
Alle 8,30 prendiamo gli scooter e partiamo e in quasi 30 minuti siamo ai piedi del monte Zwekabin. Tutto quello che si vede sono solo scale. Compriamo dell’acqua prima di salire e poi cominciamo la salita. Il monte è alto solo 722 metri ma da su si gode di un’ottima vista che da per chilometri lungo la valle e il fiume Thanlwin. Ci sono alcune decine di persone che vivono sulla montagna, e li troviamo lungo il percorso davanti alle loro capanne, dove allestiscono piccoli negozi di snack e bevande per tutti quelli che salgono.
Gli scalini saranno oltre 4 mila e bisogna costantemente guardare a dove si mettono i piedi visto che molte pietre si sono staccate e ci sono tratti di scalini distrutti. Facciamo solo piccole pause altrimenti non arriveremo mai e dopo il primo tratto più duro prendiamo il ritmo. Lo sforzo è davvero enorme quella mattina. Alla fine saliamo per 1 ora 45 minuti, siamo sfiniti e ci fermiamo tanto tempo a goderci il panorama. Zeb e George si stendono su una panchina, io faccio delle foto alla valle. Si vede tutto il tratto di fiume che va verso la città di Hpa AN, alcune colline e molti piccoli villaggi. Il tempo è bello e la vista è chiara e ampia. Ne è valsa la pena. Stanchi e contenti cominciamo a scendere e anche la discesa è molto pesante, tutto il peso e sulle gambe e alla fine cominciano a fare male. Ci fermiamo diverse volte anche durante la discesa ed è molto divertente perché ci sono anche molti birmani che salgono fino alla pagoda, e probabilmente molti sono dei villaggi circostanti e non della città, perché sembrano non abituati a vedere degli occidentali, e per almeno dieci volte ci fermano per farsi una foto con noi, ridendo sorpresi. Soprattutto per i miei due amici che sono molto bianchi e uno è biondo mentre l’altro ha i capelli
rossi. Sembra di essere una persona famosa e non è piacevole, e anche chi non si ferma chiedendo una foto ci vuole salutare con un HELLOOOO! Quando arriviamo agli scooter siamo stanchi e con le gambe dure. Ci allontaniamo da lì e cerchiamo un posto dove mangiare. Troviamo un ristorante sulla strada e facciamo un pasto veloce per continuare verso le grotte che non avevamo visitato il giorno prima. Prima di entrare ci fermiamo di nuovo e ci sediamo per della frutta e un succo di canna, che ci preparano con una macchina con due ruote e una fessura stretta dove fanno passare la canna 3 o 4 volte, schiacciandola per bene, aggiungendo poi del lime e a volte altro zucchero, come se non fosse già troppo dolce. Quella macchina e anche il filtro dove scorre il succo non sembrano così pulite ma qui gli standard sono molto diversi dai nostri e dopo qualche giorno ci si abitua a farci un po meno caso. Credo che non tutti riuscirebbero a sopportarlo e non tutti si adatterebbero. La stanchezza è enorme ma una volta all’ingresso non ci vogliamo fermare, nonostante le ulteriori scale. Zeb è cotto e si ferma, mentre io e George saliamo anche quelle scale e arriviamo in cima, vedendo anche l’altro lato della valle.
All’arrivo in ostello non abbiamo più voglia di camminare e dopo la doccia andiamo lentamente a mangiare, e i 300 metri per raggiungere il mercato ci sembrano troppi così ci fermiamo in un ristorante vicino al nostro ostello.
Mangiamo tanto e poi andiamo in un altro bar dove ci fermiamo a parlare con un altro viaggiatore, un francese che veniva da un mese in India. Ci racconta una parte del suo viaggio ma siamo stravolti e non restiamo tanto, così la serata finisce abbastanza presto.
Mattinata senza pianificare nulla, non riesco a dormire bene e mi sveglio comunque presto, con le gambe doloranti. Troppe scale. Resto a lungo a colazione e esco solo per andare a comprare delle cose, non troppo lontano. Oggi alle 13 prendiamo una barca per andare verso sud. Ho pensato di fare quel tratto in barca per avere un punto di vista diverso della zona, dall’acqua. Anche gli altri due amici vengono con me. Alla partenza ci accompagnano al fiume, ci sono due panchine e solo una barca di pescatori, che è messa molto male e sembra possa affondare da un momento all’altro. Cominciano le battute sul fatto che la barca sia quella del viaggio e quando la nostra arriva non siamo poi tanto contenti. E una barca piccola, stretta e con pochi posti, e noi siamo in tanti. La questione della sicurezza qui non è affrontata come in Europa, e ci mettiamo seduti su delle assi di legno, in una posizione poco comoda per 4 ore di viaggio.
Riusciamo a sederci in 3 su ogni fila e quando tutto sembra pronto per partire ecco che arrivano altri. Alla fine altre 4 persone si sistemano in mezzo a noi, ci ridiamo su anche se la situazione non era delle migliori. Quando partiamo cala il silenzio e tutti sono concentrati a guardare le due sponde del fiume.
Lasciando la città passiamo anche dalla Bat Cave,
dove il giorno prima ci eravamo fermati al tramonto per vedere il momento in cui oltre 100 mila pipistrelli escono in fila da un foro della grotta, formando una scia che scorre ininterrottamente per circa 15 minuti. Per vederlo saliamo su delle rocce e il panorama è a 360 gradi.
Allontanandosi dalla città vediamo che ormai le case sono finite e c’è solo verde. Dopo poco cominciamo tutti a muoverci per quanto stiamo scomodi. Io intanto prendo il telefono e comincio ad ascoltare musica italiana, canticchiando Lucio Battisti. I miei amici fanno lo stesso. Il viaggio è lungo e abbiamo il sole sulla nostra destra, dove sono seduto io. Riesco a scrivere qualcosa sul quaderno e poi ricomincio ad ascoltare musica. Dopo due ore la barca accosta preso un villaggio e ci fanno scendere. Un uomo ci fa segno di seguirlo nel villaggio e passiamo in mezzo alle abitazioni, senza sapere dove si stia andando.
Probabilmente quasi tutti pensano a un posto dove mangiare o almeno un bar dove possiamo usare il bagno, visto che sulla barca non c’è, ma invece niente, lui si ferma e fa cenno di continuare verso un campo più appartato dove tanti bambini stanno giocando a calcio con tante magliette di squadre europee, e un po alla volta tutti andiamo oltre, dove le capanne finiscono, r non c’è nessun bagno, ci sono degli alberi dove uno alla volta andiamo per i bisogni, per poi tornare verso il fiume. Torniamo a bordo e riprendiamo la rotta verso sud. Era l’unica pausa bagno che potevamo fare. Ci vogliono ancora due ore e poi arriviamo, vedendo un lungo ponte che collega i due lati e la città lungo il bordo sinistro. Alla discesa ovviamente ci sono i tassisti che aspettano e in pochi minuti ci troviamo ammassati su un tuk tuk. George aveva prenotato un hotel, io e Zeb lo seguiamo per vedere se hanno ancora posto. L’hotel è molto pulito rispetto allo standard e con dormitori che però sono piccoli e scomodi, con dei bagni interni e lavandini esterni dove ci si lava dando le spalle ai tavoli del ristorante. George ha preso un’insolazione, è distrutto e resta a dormire. Non vuole nulla da mangiare così io e Zeb andiamo al mercato notturno e ci troviamo quasi esclusivamente barbecue, ma alcuni per fortuna fanno anche dei noodles.
Io nei primi giorni ho mangiato tanto e quella sera non ho proprio fame, forse anche la mezza insolazione non mi fa sentire in forma. Prendo solo uno spiedino di polpo e faccio compagnia a Zeb. Lui mangia e beve birra. Gli alcolici sono vietati nei mercati ma a Zeb danno una birra e un sacchetto scuro per coprirla, tenendo la bottiglia su una sedia, non visibile.
La mattina seguente ci svegliamo con calma, vado anche io a prendere uno scooter e ne approfitto per portare lo zaino nell’ostello dove andremo a dormire quella sera, che costava solo 3 dollari a testa per una camera. il responsabile è un signore molto anziano ma estremamente lucido mentalmente, che risponde sempre ironicamente e col sorriso e con una mente estremamente lucida nonostante l’età, sicuramente oltre i 70. resta fisso dietro la sua scrivania e coordina tutte le attività da li, con pile di fogli e registri davanti a lui e diversi cassetti a sinistra e destra dove ha l’impossibile. per ogni informazione riguardo mappe, escursioni, noleggio scooter o prenotazione autobus lui ha un quaderno con informazioni e numeri di telefono per le prenotazioni, e tutto lo svolge velocemente. Alcune volte quando gli chiediamo qualcosa lui risponde in modo divertente con ‘good question’, ‘bella domanda’, e poi in meno di 5 secondi ha già tirato fuori dai cassetti il quaderno o il registro giusto per risolvere il problema. Porto anche la biancheria da lavare e aspetto che Zeb mi raggiunga. Appena arriva, mi dice che a noi si aggiunge un’altra ragazza che era da sola nel nostro ostello. Oriane e una ragazza francese, di origine caraibica. Difficile definire la sua età, credo 40 anni.. Si presenta con un grande sorriso, ed è di buonissima compagnia. E sempre sorridente e positiva e siamo molto contenti di proseguire con lei. Parliamo un po in francese e un po’ in inglese e chiacchiera molto. Il posto dove vogliamo andare oggi e il Buddha disteso più grande al mondo, una statua nella quale si può entrare e passeggiare vista la sua grandezza. Non usiamo il navigatore e mi affido a Zeb, sono stanco e senza voglia di controllare la mappa quindi seguo solamente lui e arriviamo chiedendo informazioni solo una volta. Visto da lontano il Buddha disteso e di dimensione incredibili, e fa ancora più effetto avvicinandoci e vedendo le persone che vi camminano sotto. Tutta la struttura non è terminata e si può dire che si cammina in un cantiere, con ferri sporgenti e chiodi sparsi sul pavimento, e si deve fare molta attenzione a dove si mettono i piedi visto che si può entrare solo scalzi. Passiamo un po’ di tempo dentro al Buddha e facendo qualche foto sotto la sua testa, poi torniamo verso gli scooter per cercare un’altra cosa. Zeb aveva letto che nei dintorni si trova una fila interminabile di statue, costruite in mezzo al verde, sono monaci che camminano verso la pagoda sulla collina. Non sono visibili da dove siamo noi ma andando nei dintorni cominciamo a vederle alcune. Girando a poca distanza dalla strada principale troviamo finalmente una fila di statue lungo una stradina laterale, che percorriamo per un tratto, fino a quando la strada termina e le statue continuano oltre, lungo un sentiero e sono tantissime.
Siamo circondati da montagne, con i cespugli e le statue al nostro fianco. Ogni statua è alta circa due metri ed è dipinta col rosso del colore delle tuniche dei monaci birmani.
Ne è valsa veramente la pena di venire qui per questa visita, e non abbiamo voglia di fare altro.
Lungo la strada del ritorno ci fermiamo a mangiare dei noodles e poi proseguiamo verso la città. Vorremmo un posto per un massaggio ai piedi ma non ne troviamo tanti, ce ne sarebbe uno che infatti raggiungiamo, ma visto da fuori sembra molto sporco e ci fa passare la voglia, ci fermiamo a prendere un frullato nel negozio di fianco. Io mi sento stanco e vorrei andare in giro in scooter senza programmi o itinerari, così mi stacco da loro e guido verso l ponte, che collega la città con l’altro lato e continuo a guidare senza meta. Le strade sono trafficate vicino al ponte e quando lo supero lo scorcio che vedo sul fiume è fantastico. Sull’altro lato la prima zona e paludosa e non ci sono costruzioni, tutto è verde. Il ponte è lunghissimo e stando attento ad andare dritto cerco di guardare brevemente a destra e a sinistra. Avvicinandosi all’altro lato del ponte riappare la folta rete di cavi elettrici e baracche. L’altra sponda è decisamente più povera. Non che quella della città sia poi così ricca ma la differenza è grande. Si vedono molti meno edifici e più baracche di legno e lamiera. Tutto è molto basico e anche i posti dove mangiare appaiono più polverosi e sporchi di quelli già semplici della città. Superato il villaggio attaccato al ponte il traffico diminuisce, ma non diminuisce il numero di persone che cammina sul lato della strada, tra bambini, venditori o semplicemente gente che torna a casa. E l’ora del tramonto e mi sto allontanando troppo. Dopo i primi villaggi e colline il paesaggio diventa piatto e non è più interessante continuare. Inoltre mi sono allontanato dal fiume e si sta facendo anche buio.
Sono ancora stanco de primi giorni e le gambe fanno ancora male a causa della scala del monte Zwekabin. Inaspettatamente trovo un posto per un massaggio alle gambe vicino all’ostello e vado a fare un massaggio di un’ora. Il massaggio è forte e per alcuni momenti mi fa male, e mi ritrovo a fare smorfie di dolori tra le risate della famiglia del centro dove mi trovo. Col passare del tempo va meglio e dopo un’ora esco con le gambe meno dure e pesanti. Tornato in ostello faccio finalmente una doccia e ritrovo Zeb pronto per andare a cena.
Abbiamo appuntamento con Oriane al nostro ostello e andiamo di nuovo al mercato notturno. Stasera riprendiamo gli spiedini di polpo, ma li accompagniamo a un bel piatto di Noodles con il pollo. Le porzioni sono enormi e quindi mangiamo a fatica tutto, molto lentamente. I noodles sono deliziosi e il venditore, di nascosto, ci vende anche delle birre, nascondendo in delle buste nere. Siamo pieni e terminiamo lentamente, godendosi il tavolo direttamente al bordo del piazzale, col fiume che scorre sotto. Continuiamo in un bar lì vicino per un’altra birra, la musica e forte ma per fortuna non c’è il solito karaoke, molto popolare in questi paesi e soprattutto in Birmania. Troviamo un tavolo sulla terrazza, insieme a dei ragazzini che fumano ininterrottamente per due ore.
Per il giorno seguente io avevo pensato di andare a Yangon ma mi faccio convincere da Zeb ad andare con lui, fermandoci lungo la strada durante il giorno per andare a visitare il Golden Rock, che si trova a 3 ore di viaggio. Abbiamo un autobus alle 6,30 del mattino e appena ci sediamo, messi i tappi e la maschera crollo in un sonno profondo. Dormo così bene che mi vengono a svegliare per farmi cambiare autobus. Succede spesso che quando si è gli unici o in pochi occidentali su un autobus si ricordano dove dobbiamo andare e ci svegliano loro quando dobbiamo scendere e indicarci dove andare. Scendiamo dal bus e veniamo mandati su un altro bus in attesa dietro al nostro, che esce dall’autostrada e va verso le montagne. Molti locali stanno andando nella stessa direzione, perché il Golden Rock è uno dei luoghi più sacri per i buddisti in Birmania. La stazione degli autobus è una distesa di negozi e ristoranti, con a fianco il terminal dei camion che fanno la spola tra la valle e la cima della montagna. E l’unico modo per salire, Hanno tanti camion su cui hanno messo 7 file di posti su cui mettono 6 persone strette come sardine e molte altre persone si aggiungono anche sul retro. La salita dura 50 minuti e i camion accelerano dopo ogni curva, su una strada molto ripida, con la gente che viene sbalzata da un lato all’altro per quasi tutto il viaggio. La prima sosta è l’immancabile negozio col camion che si ferma e delle persone con dei vassoi verso l’alto cercano di vendere acqua e altre bevande. Finalmente dopo pochi minuti qualcuno compra delle bottiglie di acqua e andiamo via. La seconda sosta è quella dove si paga il biglietto. I camion si fermano lungo due pedane alte quanto il camion, con due scale sui lati. Quando il camion si ferma due persone salgono al livello dei passeggeri e raccolgono i soldi del biglietto su entrambi i lati. Quando finalmente arriviamo in cima e scendiamo Zeb va a mangiare qualcosa e io, che dovevo cambiare dei dollari e non ho potuto sono rimasto senza soldi, decido di aspettare. Zeb mi raggiunge e andiamo verso la roccia. Un lungo percorso ci fa passare attraverso decine di negozi, fino al punto in cui gli stranieri devono pagare il biglietto di entrata. Zeb mi presta i 10 mila KYAT birmani per il biglietto, circa 6 Euro, e andiamo verso l’entrata. Il posto non mi entusiasma e sono quasi scocciato di essere li. Avrei dovuto ascoltare il mio istinto e non farmi convincere a cambiare programmi. A causa del mio umore non mi godo neanche tanto la giornata e molto svogliatamente cammino verso la roccia. Il Golden Rock e’ uno stupa di 7 metri costruito su un enorme masso ricoperto di foglie d’oro. I birmani credono che la roccia si trovi in equilibrio precario sopra una ciocca di capelli di Buddha. Secondo i birmani basta una visita a questo luogo per convertirsi al buddismo.
Forse a causa dell’umore ma a me non ha emozionato né è piaciuto il posto. Infatti prima di partire non lo avevo inserito tra le tappe del mio viaggio. Neanche il paesaggio intorno e degno di nota, come invece era stato nei giorni precedenti, e lentamente cammino lì intorno per cercare Zeb, che però non vedo. Non ricordo nemmeno con che colori era vestito per riconoscerlo tra la folla. Quel giorno oltre ai nostri vestiti siamo stati obbligati a indossare un LONGYI, la veste tipica birmana, che gli uomini indossano allacciata alla vita, lungo le gambe come dei pantaloni. La quasi totalità dei birmani li indossa, è fresca e per i luoghi caldi è ottima. Praticamente la maggior parte degli uomini qui hanno un indumento che sembra una gonna. Quel giorno anche noi. Io continuo a cercare Zeb, che non ha la scheda telefonica birmana e non è raggiungibile. Vado verso l’uscita e aspetto, non so se è già andato via. Casualmente lo vedo bloccato all’uscita mentre cerca di riconsegnare il LONGYI e non esce. Io mi innervosisco un po’ e non capisco perché non esce, e mi viene voglia di andarmene da solo. Poi dopo dice che sta aspettando di riavere i soldi per il noleggio del Longyi. La donna che gli doveva ridare i soldi dice che non ha il resto e temporeggia, fa finta di non capire. Dopo 20 minuti ancora niente e Zeb prende il Longyi e cerca di portarselo via, di scatto la donna si alza e lo ferma, e magicamente gli ridà i soldi. Andiamo a prendere il primo camion per scendere a valle, e arrivati giù posso finalmente prelevare dei soldi e restituire quelli del biglietto a Zeb, mangiare qualcosa e comprare shampoo e sapone per l’ostello. Ho abbastanza tempo anche per prendere degli snack e andiamo verso il bus. Il viaggio verso Yangon sarà più lungo del previsto e in 5 ore arriviamo nella stazione dei bus, e da lì ancora 20 chilometri per il centro. Ci sono anche altri 3 viaggiatori sul bus e riusciamo a dividere un taxi a meno di 2 euro a testa. La città è grande estesa e conta circa 6 milioni di abitanti. Quasi tutti i viaggiatori vanno a stare nei pressi della Chinatown.
Rispetto a qualunque altra grande città asiatica, Yangon sembra deserta, non c’è il caos della metropoli, forse non si avverte ugualmente alle altre perché in questa città gli scooter non sono ammessi, e gli unici mezzi a due ruote sono le biciclette. Appena arrivato in ostello mi butto sotto la doccia e poi subito a cercare un posto dove mangiare. L’unica strada piena di gente e ristoranti e al centro di Chinatown, la 16th street, ed è lì che ceniamo.
La sera in cui arriviamo a Yangon ci fermiamo a mangiare in uno dei primi ristoranti che troviamo, dove vogliamo mangiare il prima possibile, siamo entrambi affamati e nell’attesa beviamo la solita birra Myanmar. Un bel piatto di Noodles e contattiamo il nostro amico George, che era arrivato qui il giorno prima ad aspettare un altro suo amico dall’Inghilterra. Ci dice dove hanno cenato e andiamo a bere con loro. Il posto e’ vicino e si trova sulla strada principale, su un camminamento a 20 metri circa sul livello della strada. Vicino al tavolo dove George e i suoi amici erano seduti non manca il solito karaoke, anche se la scena è un po triste visto che le persone che ascoltano sono poche e le ragazze che cantano in abbigliamento appariscente e tacchi molto alti non mancano di percorrere una lunga passerella tra i tavoli, come se fosse una sfilata di moda, tra l’indifferenza della gente. Il volume del karaoke è ovunque esageratamente alto che non si riesce neanche a parlare tra noi. Decidiamo così di spostarci in un altro bar e torniamo verso Chinatown.
Ci fermiamo ancora un po’ con gli altri e ormai siamo tutti molto stanchi dai giorni precedenti, cerchiamo di organizzarci per i giorni seguenti ma ognuno ha idee e programmi diversi. Zeb vuole passare la giornata tra il letto e qualche bar per caffè e relax, io voglio camminare con calma per la città e fare qualche foto.
Il giorno seguente è senza programma e questo mi fa stare rilassato e senza alcuna fretta. Salgo sul terrazzo dove servono la colazione e mi fermo a lungo a bere un succo e decido di fermarmi lì per godermi la vista, mi siedo vicino a un gruppo di altri viaggiatori ed entro nella conversazione, visto che parlavano di Hpa An, dove ero già stato. Do qualche consiglio e ne chiedo altri a loro sulle mie prossime tappe.
Immancabilmente sento i racconti di chi è in viaggio per 6 mesi o 1 anno, a volte ci sono persone che non hanno neanche una data di ritorno e un po’ li invidio. Mi fanno venire voglia di viaggiare di più e più a lungo. Magari nei prossimi anni ci riuscirò.
Rimaniamo tanto tempo a conversare e un ragazzo brasiliano ci racconta delle sue esperienze nelle filippine, con isole paradisiache e avventure in mare, con pescatori che riescono a stare per minuti in apnea a pescare e vivono della loro pesca, insieme a lui Keren, un ragazzo canadese di origine indiana. Con Karen finisco per passare qualche ora perché lo seguo tutta la mattina per andare a vedere l’altro lato della città, quello oltre il fiume e che è composto di piccoli villaggi e campi coltivati, così vicino alla città e così diverso allo stesso tempo.
Iniziamo a camminare per circa 30 minuti per raggiungere la riva e lui trova il posto dove imbarcarsi per l’attraversamento. La folla è ovunque ma ogni turista che si presenta nella biglietteria viene indirizzato verso la biglietteria per turisti, dove di fila non ce n’è.
Un ragazzo ci accoglie e ci mostra delle istruzioni in inglese, anche lui parla un po’ di inglese e ci fa i biglietti, che non dà a noi ma mette nella sua tasca ci accompagna verso il traghetto. Avanti al traghetto non ci dà ancora i biglietti e sale anche lui con noi.
Ci sediamo su delle sedie di plastica che fanno da poltrone sul traghetto e lui comincia a parlare della sua famiglia e dei problemi che hanno. È una scena molto comune nei paesi poveri e spesso succede che dopo tutti quei discorsi queste persone chiedono un po’ di soldi e poi vanno via. Io, forse un po’ prevenuto, senza voglia di conversare mi divido da loro e mi metto sul lato del traghetto per fare qualche foto, attraverso le sedie e vado a prua dove ci sono i posti riservati per i monaci e quelli riservati agli stranieri e visitatori. Anche Keren e il nostro accompagnatore vengono a prua e ci sediamo davanti a tutti. Una cosa che notiamo e che ogni singolo o gruppo di stranieri è accompagnato, volontariamente o involontariamente da qualcuno della compagnia dei traghetti, come se non ti mandassero sul traghetto da solo. Una delle tante cose inspiegabili di questo paese, e che non vogliamo neanche chiedere. Anche altri occidentali che abbiamo visto sul traghetto avevano un locale che li accompagnava, fino a scendere dal traghetto e chiedere a quel ragazzo di avere finalmente i nostri biglietti anche per il ritorno. Finalmente ci lascia i biglietti e lo salutiamo. Come era immaginabile comincia l’assalto dei diversi tassisti che vogliono prenderci a bordo dei tuk tuk per un tour dei dintorni. Sfuggiamo ai primi assalti e ovunque ci giriamo siamo circondati, ci seguono letteralmente e anche se non rispondiamo continuano a proporci dei tour. In realtà noi vogliamo avere qualcuno che ci porti in giro ma appena scesi tutto quel casino è fastidioso. Compriamo un po di frutta e attraversiamo il parcheggio di fronte e qualcuno ancora ci segue. Acceleriamo il passo e ci infiliamo in un negozio, qualcuno ci aspetta fuori e appena usciti ci segue ancora per 200 metri. Non ne possiamo più e al primo monastero che vediamo ci entriamo, il tassista si ferma, parcheggia e entra con noi. Rifiutiamo di nuovo e gli diciamo di andare via. Lui si ferma ancora un po’ poi, vedendoci che ci sediamo su una panchina, demorde e se ne va.
Appena ci avviciniamo di nuovo all’entrata un alto tuk tuk si avvicina e un ragazzo ci propone un giro di un’ora, parliamo con lui e ci propone un prezzo ragionevole rispetto a quelli di prima, trattiamo un po’ ma è difficile visto che le parole che conosce in inglese sono pochissime e quando dice una cosa dopo 1 minuto dice il contrario, 3 minuti e 30 minuti per lui sono la stessa parola e ce ne rendiamo conto quando partiamo e 3 minuti di viaggio per un villaggio sono oltre 30, e ormai abbiamo deciso di fare un giro di 2 ore. Per gran parte del tempo per strada non si vede nulla di interessante e l’unica cosa da menzionare è una pagoda piena di serpenti, bello ma impossibile per me entrarci, solo a pensarci e vedere dall’esterno quei serpenti mi tremano le gambe. Mi fermo vicino alla porta e vedo tutti questi serpenti, almeno 20, che sono sopra o attorno alla statua principale di Buddha, il mio amico Keren entra e si avvicina, io posso solo rimanere fuori. Dei bambini, con alcune frasi in perfetto inglese cercano di vendere delle buste con dei pesci da liberare nel lago, ma è una cosa che non ho mai amato fare visto che gli stessi pesci verranno di nuovo catturati e rivenduti nello stesso posto, e questa è una cosa che fanno anche con gli uccelli. Preferisco lasciare dei soldi in quel posto comprando della frutta da mangiare durante il giro. Continuiamo per altri villaggi che ci aspettavamo meritevoli di una visita, il bamboo village non era altro che 3 o 4 capanne, due delle quali fatte di canne di bamboo e il fisherman village un villaggio di pescatori come tanti altri. Rientriamo al porto per riprendere il traghetto, paghiamo il nostro tour e torniamo in città. Keren torna verso l’ostello e io lo saluto per rimanere in giro a passeggiare. Continuo a passeggiare come al solito ma la città è molto grande, enorme. La cosa principale da vedere è la pagoda shwedagon, su una collina, costruita per essere visibile dal mare e sicuramente molto visibile fino a quando non hanno costruito grattacieli ovunque, coprendo la vista di questa meraviglia.
Mi incammino verso la pagoda ma la passeggiata è di oltre 40 minuti, compro qualche snack e mi fermo a mangiare del mais per la strada, raggiungo la pagoda ma non ho nessuna voglia di entrare, mi fermo a guardarla da fuori ed è veramente grande e luccicante, perché coperta di foglie d’oro e a 98 metri di altezza.. Resto un po’ poi decido di tornare, ma prendendo un taxi. Ho prenotato un autobus notturno
per guadagnare tempo e avere un giorno in più a Bagan, e dopo aver cenato vado verso la stazione dei bus per stendermi finalmente su uno sleep bus. I bus sono comodi e quelli notturni hanno meno sedili ma più larghi e reclinabili.
Il viaggio comincia e la colonna sonora sul bus non e’ un karaoke ma delle preghiere, con un video audio che dura oltre due ore. Ormai sono organizzato e nello zaino ho sempre i tappi per le orecchie, la maschera sugli occhi e il cuscino gonfiabile, i miei viaggi sono diventati più comodi da quando li porto sempre con me.
Si arriva molto presto a Bagan, sono ancora le 5 di mattina e si sente un po di freddo. Siamo in pochi a scendere e bisogna trovare un trasporto per il paese, i tuk tuk ovviamente ci sono ma bisogna uscire dal parcheggio per avere un prezzo onesto. Io divido il viaggio con due russi e i 10 minuti di viaggi mi congelo col vento freddo. Arrivato in ostello ho già la camera, che fortunatamente avevo prenotato anche per il giorno prima. Ho la possibilità di riposarmi e riscaldarsi un paio di ore per poi fare una bella colazione, molto sostanziosa, fatta di un piatto enorme di Noodles e delle banane e poi un paio di caffe.
Noleggio uno scooter elettrico, l’unico ammesso nel sito di Bagan, e lo prendo direttamente dal mio ostello. Non faccio un programma preciso e ci metto un po a capire dove comincia il sito archeologico, è praticamente esteso ovunque al lato e nel paesino di Bagan, non è solamente un’area delimitata e ci si sposta per chilometri per vederlo quasi tutto, io ho deciso di starci per due giornate intere e praticamente ci si potrebbe stare and 4 o 5 giorni a girare per il sito senza fermarsi. E’ composto da circa 2000 templi, attendevo da anni di visitarlo e sono entusiasta di essere finalmente li. Non mi faccio prendere da nessuna fretta ma comunque cerco di utilizzare meglio il tempo a disposizione e seguire le strade principali che tagliano tutta l’area e coprire la maggior parte delle zone, deviando per i tanti sentieri lungo le strade principali che portano a tanti templi molto piccoli e nascosti nella vegetazione. Molti sono uguali tra loro e bisogna avvicinarsi per scoprire qualche dettaglio e qualche immagine unica per ognuno di loro.
Le decorazioni dei templi più piccoli sono comunque semplici ma guardarli non stanca mai. Passo le prime due o tre ore a orientarmi fino a capire le zone in cui sto passando e comincio a fermarmi in alcuni angoli dove si può anche entrare.
Da due anni non è più possibile salire gli scalini degli edifici più grandi ed è un peccato visto che da lì avrei potuto godere di una vista migliore, ma comunque vale la pena girarci anche intorno e all’interno, anche se dentro i percorsi sono più o meno tutti uguali. Tra i vari templi antichi si trovano ovviamente anche alcune pagode più moderne, con la loro superficie dorata e scintillante al sole. La vista della zona antica si fa più bella quando si trovano degli alberi o dei fiori a fare da contrasto al color mattone di quasi tutto il complesso, oppure quando dei monaci lo visitano indossando le loro tuniche color rosso porpora. Una parte del complesso è ancora circondato da una parte delle antiche mura della città, e non è raro che durante la visita si passi in mezzo agli animali che pascolano tra i templi. Infatti, ci sono ancora persone che vivono all’interno dell’area e capita di passare tra le loro capanne quando si visitano gli angoli più nascosti del sito. Letteralmente alcune persone hanno la loro capanna tra gli stupa di Bagan.

Alcune aree sono raggiungibili passando sui sentieri e la cosa più divertente nel visitare Bagan in scooter è proprio la guida stile rally su alcuni sentieri più sabbiosi, alcuni dei quali così sabbiosi che bloccano il passaggio e bisogna mettere i piedi a terra e spingere per uscirne.
Passo la prima giornata in giro per Bagan, torno in ostello per mangiare qualcosa ed esco di corsa per non perdermi il tramonto su tutta la valle. Non si può godere del tramonto dalla cima dei templi e quindi bisogna trovare un posto con una bella vista. Su internet sono consigliati alcuni templi ma quando li raggiungo li trovo già chiusi, con dei ragazzi che dicono che non possono aprire ma che se voglio posso seguirli verso il loro posto segreto per vedere il tramonto, e una cosa che capiterà anche il giorno seguente, e questi ragazzi fanno tutti la stessa proposta per proporsi come guide o vendere qualcosa in cambio di essere accompagnati in un posto dove si può
vedere il tramonto. Non mi va di seguirli e torno in un posto dove molta gente aspettava il tramonto da una piccola collina. Mi fermo giusto in tempo per il calar del sole e cerco di fotografare il momento. Il tramonto si vede ma non e’ dietro ai templi e non è così speciale. Ho sbagliato posto e tornando ne trovo un altro un po meglio e lo tengo in mente per il giorno dopo. Il paesino è minuscolo e non c’è nulla da fare ne molti bar dove fermarsi a fare due chiacchiere. Mangio qualcosa e vado a letto, passo tanto tempo al telefonino e poi a dormire. Il mattino seguente sveglia alle 5,30 per uscire a vedere l’alba nel sito, migliaia di persone vanno verso la collina dove si vede bene il sorgere del sole e le mongolfiere con le persone che pagano 300 euro per un giro e la magnifica vista dall’alto sul sito. Avevo pensato di chiedere informazioni e magari andare anche io in mongolfiera ma poi non ho tutta questa voglia, inoltre sono da solo e magari andandoci con qualcuno mi sarebbe andata, non lo so. Nonostante questo anche la vista da terra è bella così come vedere tutte quelle mongolfiere che si alzano insieme è uno spettacolo. Sono sorpreso dalla bellezza di quelle mongolfiere e rimango molto tempo li, poi il sole ormai è alto e la fame si fa sentire, così verso le 8 torno in ostello per la colazione. Oggi si mangia del riso con le solite banane e il caffè, ne mangio un piatto enorme, avevo tanta fame, e dopo essere passato a lavarmi esco di nuovo verso il sito per passare un’altra giornata a girare. Esploro nuove zone e per errore vado di moto fuori dalla zona archeologica ma per fortuna non perdo troppo tempo e ritorno verso il centro e trovo qualche stupa che non ho visto il giorno prima. Alcuni tratti sono molto sabbiosi e molto difficili e mi ritrovo a fermarmi e vederne alcuni andando a piedi. Cambio continuamente idea su cosa fare quel giorno e torno a mangiare e a sistemarmi io e lo zaino per la partenza, così da essere già pronto per uscire a vedere di nuovo il tramonto e poi riconsegnare lo scooter e prendere il bus che mi porterà di notte verso il posto di montagna chiamato Kalaw. Kalaw si trova a nord del confine con la Thailandia e prima di partire non pensavo che ci sarei andato, anche avendo letto qualcosa sui vari forum di viaggi.
Sentito nominare più volte nei primi giorni e con qualche viaggiatore che mi aveva detto della bellezza dei trekking da fare partendo da Kalaw e raggiungendo il lago inle in 3 giorni a piedi. La cosa mi incuriosisce e vedendo con che entusiasmo le persone raccontano di quel trekking decido di andarci e fare anche io quel percorso.
Arriviamo in piena notte a kalaw, alle 3 e non c’è nessuno per strada, la fermata del bus si trova proprio nel centro, dove ho prenotato una camera per quel giorno. Con me altre due ragazze sono scese e anche loro hanno prenotato lo stesso hotel, che però è chiuso. Ci fermiamo di fronte e tutto è spento, una persona passa e ci chiede se stiamo lì, così bussa a un campanello che nessuno di noi tre aveva visto e una persona ci fa entrare, dandoci velocemente delle chiavi e facendoci andare al caldo e a dormire, senza neanche fare check in. Non avevamo prenotato per la sera prima ma comunque ci spediscono in camera, non facendoci aspettare lì fuori, una cosa molto gentile, soprattutto perché di notte faceva veramente freddo di notte, con 10 gradi.
Riesco a dormire un paio di ore poi vado alla reception, li ringrazio e il proprietario mi dice che pago solo il giorno che ho prenotato e posso rimanere nella camera singola. Non riesco a credere a quanto sono gentili e disponibili e mi fermo a fare colazione da loro, pagando volentieri almeno per quella, unico modo per ringraziarli materialmente. Il paese è piccolo e una passeggiata intorno dura poco, così capita di incontrare le stesse persone più volte. Giro per le agenzie di trekking e vado a parlare con la Jungle king trekking, che mi aveva suggerito un signore olandese e che anche due ragazze mi avevano nominato e con cui erano andate. Non prenoto ancora e do un’occhiata anche alle altre.
Faccio un giro per il mercato e mangio qualche samosa, dal banco di alcuni indiani. Una cosa interessante di questo paese di montagna è che non vive una sola tribù ma ci sono diverse comunità, in mezzo alle tante pagode esiste anche una moschea e una chiesa, si vedono lineamenti diversi, birmani, indiani, qualche occidentale e qualche arabo. Tutti coesistono pacificamente.
Dopo il giro al mercato rientro in hotel e mi fermo a parlare con due ragazzi, si presentano e sono Oren e Mati, da Israele. E incredibile quanti israeliani si incontrano in viaggio nonostante sia un paese di soli 8 milioni di abitanti. Anche loro vanno a fare il trekking di tre giorni e lo hanno prenotato alla stessa agenzia Jungle King. Vado anche io a fare il biglietto e facciamo un giro insieme sotto al villaggio. Si parla un po’ di calcio e un po’ di Italia, poi raggiungiamo una pagoda molto bella, scavata nella roccia, in cui si gelano i piedi dal freddo, visto che si va scalzi sulla roccia umida, e risaliamo nel paese. Loro vanno a pranzo, io ho fatto abbondante colazione e proseguo ancora un po da solo verso la collina ma non trovo nulla da visitare. Passeggio fino al centro e ripassando dal mercato cerco un ristorante dove mi concedo finalmente una birra e mi godo la vista sul paese e le montagne. Il cibo mi piace e mi riposo un po’ prima di ritornare in hotel mentre fa buio. Cerco di collegarmi a internet ma funziona malissimo, passeggio davanti all’hotel e poi quando ormai fuori fa freddo rientro e mi chiudo in camera. Faccio una doccia, l’acqua calda c’è ma il bagno è molto freddo quindi la doccia la faccio un po’ di fretta.
Vado a letto molto presto e preparo lo zaino grande che l’agenzia spedisce alla destinazione e quello piccolo che mi porto per il trekking. Lo zaino è piccolo quindi mi organizzo anche con una piccola sacca e la reflex per le foto. Dovrei portare meno cose ma va bene così ed è anche abbastanza comodo.
La mattina seguente la partenza è alla 8,45, appena il tempo di consegnare i bagagli che la nostra guida si presenta. Si chiama Tom, almeno questo il nome che utilizza coi turisti, il suo nome birmano è molto difficile da pronunciare, qualcosa tipo Pisiluk. Ci saluta in lingua birmana, ‘sa pyi bi là’, ‘hai mangiato’, che è il modo più comune per salutarsi. Per fortuna parla abbastanza inglese rispetto alla media ed è molto sorridente e simpatico. Siamo fortunati perché è molto di compagnia. I gruppi vengono formati e noi siamo in 9. I vari tour partono e noi prendiamo la nostra strada lungo il paese verso la stazione ferroviaria, e oltrepassato i binari cominciamo a camminare sulla collina sul lato opposto. Sono i primi momenti di conoscenza con la guida e con gli altri viaggiatori. Il gruppo è giovane, sono io il più grande, e il ritmo della camminata è molto veloce sin dall’inizio. Le informazioni date sono poche, non c’è bisogno di tante soste, tranne ogni tanto che qualcuno si ferma per un bisogno dietro agli alberi. Io sono l’unico italiano, con me ci sono Mati e Oren, i due israeliani incontrati il giorno prima. Un altro ragazzo è lussemburghese di origine portoghese, Thiago. Ci sono due ragazze e un ragazzo francesi che viaggiano insieme e che stanno quasi sempre tra di loro. Inoltre c’è Nina, ragazza olandese che studia a Hong kong, e Penilla, una ragazza danese che avevo già visto qualche giorno prima a Hpa An perché dormiva nella stessa camera mia, nel letto al mio fianco ma che lì non aveva scambiato una parola con nessuno.
Sono molto contento del gruppo ed è un buon inizio. Ci sono le prime battute di rito, le presentazioni, poi come al solito tra viaggiatori non si chiede età o lavoro, si parla di che viaggio si sta facendo e dove si andrà ancora. Sono l’unico che viaggia per un mese solamente, la maggior parte delle persone che incontro viaggia per due o tre mesi, alcuni sei mesi o un anno, alcuni a volte non hanno nemmeno il biglietto di ritorno e decideranno man mano. L’india e il sud est asiatico sono le mete che in tanti visitano e mi mettono voglia di andare anche io in tanti posti e per più tempo. I due israeliani per esempio stanno in giro per un anno, Thiago per 6 mesi ma viene da un viaggio nel centro e sud America e ci racconta tantissime cose da fare e vedere in quei paesi. Non so molto de francesi, un po’ si parla ma sono molto solitari rispetto agli altri e un delle tre è un po’ restia a parlare inglese con me e gli altri. Io parlo francese con loro ma sono piuttosto chiusi con noi. Mi unisco alle conversazioni con Thiago che racconta suoi viaggi e Mati che mi prende in giro perché sono il più grande di tutti, chiedendomi ogni ora se va tutto bene e se il cuore regge ancora.
E simpatico ma poi diventa noioso quando lo ripete tre quattro volte. Infatti poi smette e si dimentica della cosa. I due israeliani avevano finito i tre anni del militare e si godevano adesso un po’ di libertà lungo il viaggio. Alla fine del viaggio in Birmania andranno in Thailandia dove si sono registrati presso un monastero per 10 giorni per imparare a stare in meditazione. Questo discorso della meditazione ritorna spesso nelle conversazioni e cominciò anche io a pensarci. Non l’ho mai fatto prima ma mi ha sempre incuriosito.
Il primo tratto percorso era piuttosto in salita ma ci siamo già allontanati dal paese e dai centri abitati. Abbiamo trovato solo qualche capanna lungo la strada, fino a quando non ci fermiamo nel villaggio dove e’ previsto il pranzo. Il ritmo e’ stato molto veloce e siamo arrivati in anticipo. Ci prendiamo il nostro tempo e per il bagno, che e’ così puzzolente che tutti andiamo semplicemente dietro agli alberi che si trovano oltre la capanna col bagno. A tavola stiamo tutti insieme e cominciano a servirci dei piatti saporitissimi, con riso speziato, brodo di verdure e zenzero, poi frutta. La cucina birmana è molto speziata e quando mettono i peperoncini verdi a tavola sono molto più piccanti di quelli rossi usati in Italia e bisogna pensarci due volte prima di aggiungerli nel patto, quando si esagera la bocca prende fuoco e io personalmente qualche volta ho avuto bisogno di mangiare qualcosa di dolce per farmi passare il bruciore sulla lingua.
Ce la prendiamo molto comoda e recuperiamo le energie per altri 10 km di strada. Quando riprendiamo vediamo che in quel villaggio molte capanne hanno un pannello solare all’esterno così da avere almeno la luce elettrica di sera quando cenano. Molte donne coltivano e raccolgono fiori, che organizzano in mazzi e vendono lì e nei mercati dei dintorni. Ma la cosa che coltivano di più in quelle colline è che vedremo per tutti e tre i giorni sono i peperoncini. In quelle settimane c’è il grosso della raccolta e molte delle colline vediamo che hanno una sfumatura di rossi da lontano proprio dove sono i peperoncini, e sono tantissimi. Il raccolto è buono e lungo la strada troviamo molte famiglie al lavoro. Vicino ai campi ci sono prati su cui vengono distesi i peperoncini per 10 o 20 metri a essiccare, prima di essere raccolti e trasportati verso i villaggi, aiutandosi con delle bufale per il trasporto dei sacchi. Il paesaggio si fa sempre più bello e vediamo decine di persone che raccolgono.
La maggioranza delle persone che vediamo sono donne, con alcuni bambini che vengono portati nei campi e stanno lì a giocare vicino ai familiari al lavoro. Le donne di questo a regione, lo stato degli Shan, indossano una sorta di sciarpa avvolta sulla testa, che ricorda un drago. visto che secondo un’antica leggenda le donne di questo stato discendono da un drago. Molti dei bambini ci guardano un po’ sorpresi al
nostro passaggio, e ci salutano quando ci avviciniamo. Molta gente qui non è ancora abituata al grande turismo quindi vedono veramente poche persone estranee. A quanto pare i sentieri in cui sono ammessi i turisti non sono tanti e non si può andare ovunque da soli, il regime militare non lo concede, quindi in molti di quei villaggi non hanno mai visto un occidentale. Da qui si comprende la curiosità delle persone al nostro passaggio. Per molti magari è una novità vedere occidentali. I bambini stanno lì a giocare sotto il controllo dei familiari. Non hanno giochi particolari, né biciclette, e giocano semplicemente nei campi. Alcuni hanno un pallone. Quando capita di dire a degli adulti che vengo dall’Italia, qualcuno mi dice ‘Roberto Baggio!!! Wow’
Il viaggio prosegue e camminiamo altre tre ore. 20 km e il sogno di farsi una doccia che invece non esiste. Il villaggio dove ci fermiamo è molto semplice e la casa dove dormiamo ha fuori un piccolo bagno e una vasca all’aperto con due bacinelle e un muro intorno per la privacy.Sta per tramontare il sole dietro le montagne e con Nina e Penilla andiamo a vederlo da un prato poco lontano. Intanto e arrivato un altro gruppo di viaggiatori nello stesso villaggio e ci ritroviamo tutti sullo stesso prato con qualche snack e qualche lattina di birra che una sorta di negozio vende vicino a noi. Siamo a 1500 metri e il sole tramonta presto dietro alle montagne che abbiamo di fronte. Avevamo detto alla guida di voler mangiare per le 7 ma già prima delle 18,30 siamo tutti lì in attesa, non avendo niente da fare ed essendo molto affamati. Ci chiamano nella cucina un po prima e non perdiamo un minuto per salire. la cucina e semplicemente il piano superiore di una capanna con un fuoco da un lato con i pentoloni e l’uomo che sta cucinando per noi, mentre lungo la parete abbiamo dei tavolini bassi vicino ai quali ci sediamo o stendiamo. La posizione per mangiare non e’ comodissima ma quando arriva il cibo ci dimentichiamo di tutto. Parliamo con la nostra guida che si è finalmente seduta vicino a noi e si parla anche di usanze, e ovviamente anche qui si aspetta che tutti siano a tavola per cominciare, cosa che noi non facciamo quel giorno visto che due dei nostri stanno fuori al telefono. In generale in Birmania rispetto a noi che serviamo prima le donne, si serve prima la persona più anziana e se questa è assente per qualche motivo si prepara comunque una ciotola di riso in più per rispetto e poi si servono i presenti. A volte non vengono servite bevande ma un brodo caldo da accompagnare al pasto. L’ingrediente fondamentale ovviamente qui è il riso e, data la vicinanza con l’India, il curry che accompagna molti piatti. Come vedremo anche durante il trekking anche in questa zona il riso è il prodotto più facilmente coltivabile e si usa il sistema dei terrazzamenti. Prima di partire ho letto su una guida che addirittura un sacerdote in missione in queste terre nel 1800 sentì l’esigenza di adattare la preghiera del Padre Nostro ai costumi locali, invocando il ‘riso quotidiano’ anziché il ‘pane quotidiano’. Oltre che come alimento in sé, il riso è usato come materia per la preparazione di spaghetti e vermicelli. Il Curry è più leggero e meno piccante e costituisce uno dei condimenti più comuni insieme a spezie e verdure. La carne è molto comune, e si consuma una grande quantità di pollo, mentre il maiale è proibito per la comunità musulmana e quella induista, e allo stesso tempo anche per quella Buddista non è amata come pollo e montone. In alcune zone rurali e nella giungla, alcune tribù mangiano anche carne di serpente. Mucche e bufali sono molto presenti nelle campagne ma sono considerate amiche dell’uomo e usate più per il lavoro nei campi e per il trasporto delle materie, e vengono mangiate raramente dai locali. Soprattutto nei posti di mare si usa mangiare pesce, ma esso è presente anche nelle altre zone interne, soprattutto per le zuppe di pesce. I gamberetti sono presenti in dose massiccia ovunque, dal mare ai laghi e ai fiumi. In ogni mercato di qualunque zona della Birmania la puzza di pesce è presente, e spesso molto forte perché si usa macerarlo con altre spezie. Il piatto nazionale è il Mohinga, una zuppa di pesce, curry e spaghetti.
Riso, tofu con curry, verdure, peperoncino per chi ha più coraggio, pollo e frutta. Tante cose e tutte buone. Passiamo la serata a mangiare e chiacchierare e tutti sono stanchi, tanto che già verso le 21 andiamo verso la camera e ci stendiamo. Qualcuno sta ancora lì col telefono ma la maggior parte di noi crolla in un sonno profondo, in una camera inizialmente fredda, con i nostri vestiti che puzzano del fumo della cucina e del russare di due ragazzi. Siamo così stanchi che nonostante tutto dormiamo bene e tanto. Ci svegliamo molto presto, Nina si era alzata per veder l’alba, gli altri fanno più con calma e abbiamo una bella colazione. Ci riforniamo il più possibile e gustiamo soprattutto una bella insalata di papaya. La frutta e la verdura le troviamo buone ovunque, non ci sono dubbi sul fatto che sia tutto molto naturale qui è tutto molto locale, lo si vede tutto intorno.
La colazione è lunga e sostanziosa, io bevo tanto caffè, le ragazze preferiscono il the con lo zenzero. Lo zenzero e un’altra cosa raccolta in questa zona.
Mentre le donne stanno ancora raccogliendo i peperoncini gli uomini in questi giorni cominciano a raccogliere dalla terra lo zenzero, e appena finito col peperoncino, anche le donne si uniranno a loro. Alla ripartenza continuiamo a superare qualche collina per poi trovarci in una lunga valle. Ancora raccolta di peperoncino e sulla strada troviamo anche altri due villaggi. Le strade sono poche e vediamo passare pochi scooter per i campi. La maggior parte delle persone cammina oppure passa con delle bufale per trasportare i sacchi.
Dopo un’ora di passeggiata ci fermiamo in un bar con dei tavoli. Ne approfitto subito per un altro caffè. Anche se non è così buono lo desidero e ne ho proprio bisogno per tutti quei chilometri.
La valle in cui continuiamo la passeggiata e’ piena di mais, oltre al solito peperoncino rossi, e altre famiglie con i bambini sono lungo i campi. Arriviamo a pranzo in un villaggio e siamo insieme a un altro gruppo. Quel giorno siamo molto più silenziosi, forse per la stanchezza, mangiamo tanto anche lì e appena finito invece di partire in tanti si stendono vicino al tavolo a riposare. La guida ci aspetta un po più a lungo e stiamo molto in quel posto. Quando riprendiamo siamo più allegri, ovviamente un altro caffè prima di ripartire e aspettiamo di ricaricare un po i telefonini visto che lì dove mangiamo hanno anche la corrente elettrica. Quella sera invece avremmo dormito in un monastero. Quello che vediamo nel pomeriggio è molto più bello, passiamo in mezzo a delle risaie e attraversiamo un’altra valle per almeno 30 minuti, poi davanti a noi ancora una montagna, quando la guida ci dice che dobbiamo salire in cima nessuno ci crede. Invece era vero, però saliamo lungo un sentiero battuto con tante scale e una vista dalla cima che ci ripaga della stanchezza.Ci fermiamo e ci sediamo sulle rocce, io ovviamente ho le vertigini e ci metto un po ad avvicinarmi al bordo. Tutti in silenzio e tutti a guardare la valle e le risaie ancora secche, saranno verdi da Aprile. Ancora due mesi e arriverà di un po di pioggia.
Ormai siamo sulla montagna e per arrivare al prossimo villaggio e al nostro monastero non dobbiamo più salire tanto, la passeggiata è più leggera e andiamo spediti. Il monastero è abbastanza grande, e di fronte si trova un grande piazzale dove i bambini del villaggio e i monaci novizi giocano a calcio.
La guida ci aveva detto che potevamo giocare con loro arrivando lì e la cosa non ci dispiace affatto. E molto divertente trovarci lì in mezzo alle montagne della Birmania a giocare a calcio con i locali. Alcuni di noi si uniscono alla partita, ovviamente loro sono ragazzini e corrono come i matti ma tra noi europei giochiamo un po meglio e compensiamo con questo la scarsa forma fisica e la stanchezza degli oltre venti chilometri del secondo giorno. Ci divertiamo tanto e ci sorprendiamo quando con qualche gesto ci fanno capire che invece di contare i goal fanno una partita un po diversa, non si vince o si perde, unica cosa da fare quando si prende un goal e che tutta la squadra deve fare cinque flessioni, poi si ricomincia. Tutto qui.
La partita è divertente e tutti ci divertiamo, il sole sta calando e dovremmo finire. Si finisce con un goal che però tarda ad arrivare, e quando finalmente arriva è proprio buio.
La cena è servita si trova vicino al campo da calcio, e anche lì incontriamo l’altro gruppo. Tutti sono sorridenti e il cibo è uno spettacolo. Di nuovo insalata di papaya, pomodori con arachidi sbriciolate, pesce al curry, riso e frutta. Non manca il tè ma a tavola abbiamo anche qualche birra presa in una sorta di bar che si trova lì vicino. Non è un vero e proprio bar ma una stanza della casa di una persona a pochi metri dal monastero, che con una batteria di macchina tiene attaccate le lampadine e vende patatine, birre, coca e bottiglie di rum a meno di tre euro. Le guide turistiche ci dicono di andare lì al negozio dopo la cena che hanno una chitarra e possiamo passare la serata lì, nel monastero non si può bere e fare rumore.
Tutti vengono lì dopo cena, la coppia del negozio accende un fuoco al lato della strada, e ci sediamo intorno. La nostra guida e la guida del altro gruppo cominciano a strimpellare con la chitarra e cerchiamo qualche canzone in comune da cantare, ma la cosa non è facile con persone di così tanti paesi diversi. Le nazionalità presenti oltre alla mia sono: Olanda, Danimarca, Francia, Israele, Spagna, Cina e Corea, e ovviamente la Birmania con le guide. Qualche pezzo inglese e conosciuto da tutti e ci aiutiamo con Google per i testi. E tutto molto divertente e bevendo vicino al fuoco più o meno tutti cantano. Tante risate e tante idee, come quella di fare il giro di tutti con ognuno che deve cantare una canzone nella propria lingua, e quando tocca a me alcuni cominciano a canticchiare il motivo di ‘Bella ciao’. Da quando la ‘Casa de papel’ è diventata una serie di successo in tutto il mondo ci sono persone di ogni lingua e cultura che conoscono qualche parola e provano a cantare ‘Bella ciao’.
La serata è una delle più belle di tutto il viaggio e restiamo lì fino a tardi. Il villaggio è piccolo e non diamo fastidio a nessuno, restiamo a fianco di quella strada e teniamo il fuoco acceso fino a quando andiamo via. Io sorseggio una birra ma i tre francesi hanno preso una bottiglia di rum e la coca e bevono tanto, fino a essere brilli. Quando andiamo via vado a prendere la bottiglia d’acqua e lo spazzolino per lavare i denti lì fuori sul piazzale loro sono ancora lì a ballare con la musica del telefonino.. Il tempo di mettere il telefono in tasca con la luce accesa e lo spazzolino in bocca, alzo la testa e con quel buio si vede il cielo stellato. E’ molto buio e le stelle visibili sono tantissime, credo di non averne mai viste così tante. Non ero mai stato in un posto così buio e lontano da grandi paesi e città.
Quando vado a dormire i tre francesi sono ancora fuori dal monastero a ballare tra loro e ridono felicemente. Una volta a letto resto ancora un po sveglio e li sento tornare a dormire almeno un’ora più tardi.
Il terzo giorno di trekking si prevede più leggero, le salite sono poche e i chilometri sono solo 15. Il paesaggio non varia di molto ed è bello. Ci fermiamo molto presto per una sosta in un caffè e proseguiamo veloci. Si chiacchiera molto e gran parte del tempo lo passo con Thiago a chiedere tante cose ai due ragazzi israeliani riguardo la situazione nel loro paese e come la vivono loro con i palestinesi e gli ortodossi.
La sosta è stata breve e sembra che tutti abbiamo voglia di arrivare presto. L’ultimo tratto è una discesa ripidissima tra le rocce, molto impegnativa, durante la quale dobbiamo fare una pausa all’ombra. Il pranzo sarà direttamente vicino al lago Inle e arriviamo tutti stremati. Appena ci sediamo ci portano anche i bagagli che abbiamo spedito da Kalaw e appena dopo pranzo ci mettono su una barca. Dobbiamo attraversare il lago e ci mettiamo circa un’ora. Il trekking è finito e tutti e 9 ci godiamo il pezzo in barca. Il lago è molto lungo e con un fondale molto basso. Le barche sono tutte piccole e lunghe con i motori che hanno un’elica alla fine di un lungo tubo, cosa che li rende manovrabili senza andare con l’elica a fondo. Molti villaggi si sviluppano a ridosso del lago e molta gente vive praticamente sull’acqua.
Tutte le capanne sono delle palafitte, molto piccole, con una barca sotto. Alcuni tratti di fianco al lago sono dei campi coltivati con un numero infinito di canali che li attraversano e su cui si spostano i contadini al lavoro e su cui trasportano tutto. Addirittura i tralicci della corrente elettrica sono sui pali piantati in acqua. Tutto è sull’acqua, tranne il paese principale di Nyaungshwe, dove sono gli hotel e le guesthouse. All’arrivo ci salutiamo e ci dividiamo. Io ho prenotato un posto letto molto vicino al molo di arrivo e vado subito a posare lo zaino e a fare una doccia. Non mi sembra vero di fare una vera doccia e mi sento rinato. Esco a mangiare qualcosa e il primo pensiero poi è fare un massaggio ai piedi, con le gambe che sono ormai due pezzi di legno. Prenoto il giro in barca che fanno tutti sul lago per il giorno successivo e prenoto anche il bus che mi porterà la sera dopo a Mandalay, ultima tappa per me in Birmania. Vado a dormire con le gambe che fanno male ancora e mi riposo bene prima di un’altra lunga giornata. La giornata seguente ho in programma solo il giro in barca, e comincia presto dalla guesthouse, vengo prelevato con altre persone e ci portano a poca distanza per andare sulle barche. Veniamo messi su due barche e facciamo diverse soste presso villaggi e negozi dove producono stoffe, sigari e sigarette, argento e altri prodotti fatti con bamboo. La cosa più originale da vedere sono i pescatori locali che pescano stando in equilibrio sulla punta della loro barca su una gamba sola con l’altra gamba che sostiene una rete particolare. La loro rete è rigida e a forma di campana, che sostengono con una gamba e un braccio. la campana ha un foro nella parte superiore da cui infilzano i pesci più grandi. Altri pescatori usano delle comuni reti.
Ci fermiamo infine presso la pagoda principale e il mercato, per poi finire presso un ristorante. Rientriamo dopo pranzo e vado di nuovo a fare un massaggio ai piedi nello stesso posto del giorno precedente.
Il tempo di preparare lo zaino e vado a prendere il bus per Mandalay presso la stazione dei bus. Il bus parte con qualche minuto di ritardo e come sempre è freddissimo, con aria condizionata a mille e con un video musicale a tutto volume, per fortuna ho i miei tappi, e riesco a starmene tranquillo a dormire. Ci fermiamo spesso e questi autobus spesso fanno servizio di spedizione pacchi, quindi le fermate sono tante, ma sono molto stanco e me ne accorgo appena.
Arrivo a Mandalay durante la notte e lentamente mi avvio verso la città. Il bus ci lascia molto lontano e i soliti tassisti si avventato a offrirmi tariffe molto alte. Non ho nessuna fretta, anzi ho molto da aspettare perché apra l’ostello, come al solito esco dal parcheggio e mi incammina seguendo il navigatore, non ho nessuna intenzione di fare tanti chilometri a piedi ma è solo per evitare i tassisti del parcheggio e le loro tariffe irragionevoli, trovando un tuktuk lungo la strada che pago molto meno e che mi porta velocemente dove ho prenotato. Devo aspettare le 6 perché aprano la porta ma una volta dentro mi fanno appoggiare sul divano fino alle 10, dove mi addormento, fino a fare il check in. Mi riposo ancora vista la stanchezza e poi esco a vedere la citta. Cerco di organizzarmi per il giorno successivo ma ormai il confine con la città thailandese di Chiang Mai è ancora chiuso e prenoto un volo per Bangkok. a Mandalay niente di speciale da vedere, non mi ispira e non ho voglia di girare tanto. L’unica cosa da vedere è la cittadella e si trova vicino alla guesthouse. Passo prima per le strade del centro e mi metto semplicemente a osservare le strade senza una meta, poi nel pomeriggio mi avvicinò di nuovo alla cittadella ma non ho voglia di visitarla e mi limito a fermarmi lì vicino e a mangiare qualcosa. La città e la stazione, che mi fermo a vedere durante la passeggiata, sono squallide, sporche e senza nessun edificio degno di nota. La nota positiva del soggiorno a Mandalay è incontrare di nuovo Oriane per strada, inaspettatamente. Oriane e io ci eravamo visti a Mawlamyne una settimana prima ed eravamo stati in giro con Zeb. Mi fa piacere rivederla e siamo sorpresi di incontrarci lì, lei è insieme a insieme a una coppia di ragazze francesi e mi aggrego a loro verso il mercato notturno per mangiare qualcosa, poi compro delle birre e le raggiungo nel loro ostello dove hanno un terrazzo e dove ci fermiamo a bere una birra insieme, passando la serata chiacchierando. E l’ultima sera in Birmania e vado a dormire soddisfatto del viaggio, preparando lo zaino per andare la mattina successiva in aeroporto e prendere il volo trovato per bangkok. Il confine con Chiang mai oramai è chiuso ed era quella la mia prima idea di itinerario e le montagne intorno a Hsipaw non sono più considerate un luogo sicuro ed è permesso visitarle solo accompagnati da una guida, dopo che un turista uscito dai classici sentieri è saltato su una bomba. da allora i militari non lasciano più passare. Inoltre sono molto stanco e ho una gran voglia di andare al mare. Sono soddisfatto del viaggio e ormai voglio solo rilassarmi. Il viaggio è finito e la soddisfazione è tanta. la sensazione fantastica è la fiducia che un viaggio in solitaria ti lascia, la sensazione di trovarsi da soli contro il mondo diventa dopo qualche esperienza quella di trovarsi da soli a proprio agio nel mondo.
La voglia di viaggiare credo non potrebbe abbandonarmi mai, anche se magari vorrei condividere queste avventure con altre persone. nel frattempo parto ed ho già in mente le mie prossime mete. Il mondo è grande e merita di essere scoperto.